domenica 10 febbraio 2013

70 esimo anniversario della battaglia di Stalingrado


Quando ero a Mosca come lettrice d’italiano all’Università, avevo avuto una conversazione  con Tanja Sciaumian, nipote di un bolscevico ucciso nel 1920 dall’armata bianca a Bakù, la cui famiglia era poi stata perseguitata dalla polizia di Stalin.

-          Si sapeva che gli errori vistosi di Baffone come l’assassimio del maresciallo  Tuchacevski nel 1937  e dell’agente del Komintern Sorge in Giappone nel 1939,  gli avevano impedito di predisporre i necessari strumenti di difesa del territorio.  Stalin si sentiva garantito dal  famoso Patto di acciaio, stipulato da Molotov e da Von Ribbentropp,   che aveva permesso all’Urss di impadronirsi di Estonia, Lettonia e  Lituania e di attaccare la Finlandia, ma non aveva capito  che non  avrebbe affatto  impedito  a Hitler di scatenare   il suo vero piano: l’attacco all’Urss e l’avanzata dell’esercito tedesco fino al Volga, con  la distruzione delle fabbriche di trattori, della centrale elettrica di Stalingrado  e centinaia di migliaia di morti.

Lo Stato c'era, - dicevo io - ma dov'era la Rivoluzione ?   Tania si era messa  a ridere.

-          A pensarci bene  invece  qualcosa era cambiato, rispetto all'era tsarista: tutti i cittadini sovietici erano stati sollecitati  a diventare dei "Vasia", dei Giuda-delatori, per facilitare il compito dei poliziotti. Un sistema ultra-perfezionato di sorveglianza sui “nemici del popolo”.  E a questo gli tsar non erano arrivati. 

Invece  il sistema delle false confessioni sotto tortura era già stato inventato dalla Terza Sezione della polizia tzarista..  Era Strelnikov, lo specialista,  e nel ’37  venne messo in atto con le famose purghe contro i nemici del popolo, soprattutto alla fine di quell ’anno.   

-          “ La città che porta il mio nome non deve cadere”

 Fu questa la parola d’ordine proclamata da Stalin all’inizio dell’assedio di Stalingrado, e non solo l’armata rossa ma tutto il popolo avevano combattuto eroicamente  nella difesa della città, per tener fede a questo  slogan, fra l’estate del 1942 e il febbraio del ’43.

 E proprio  nell’estate del ’42  mio padre ci aveva portato in vacanza a Giaveno, in Piemonte, a poca distanza da un luogo dove Benedetto Croce e la sua famiglia erano in villegiatura. Don Benedetto stava scrivendo un saggio contro il marxismo, ma disse a mio padre,  andato da lui  in visita,  che per ora non l’avrebbe pubblicato.

” I sovietici stavano  combattendo  troppo bene a Stalingrado per fermare gli orrori nazisti!”

 Non solo Don Benedetto ma  tutto il mondo occidentale democratico era stato  in ammirazione  a fronte degli eroici  sforzi bellici  dell’Armata Rossa, al momento dell’invasione tedesca in tutta Europa, e così migliaia di militanti antifascisti. E l’offensiva finale  con l’accerchiamento delle divisioni tedesche a nord e a sud della città  avrebbe invertito le sorti del conflitto a favore dei russi e degli occidentali.

Il solo a non  condividere l’esaltazione di Stalin  era uno scrittore russo  ebreo, corrispondente militare a Stalingrado, Vassili Grossmna.

 

                                                                                   ***

Nel 1965, quando ero a Mosca,   non ero ancora al corrente del  suo grande libro, “Vita e destino”,davvero singolare. Non circolava, nemmeno in samizdat,  perché i  manoscritti erano stati confiscati dal KGB nel 1962.

Scritto prima del Dott. Zivago, durante e dopo la sua pubblicazione in Italia, era stato  considerato molto più pericoloso del romanzo di Pasternak.  Se la rivista Novyj Mir ne aveva rifiutato la pubblicazione, Zivago non era però mai stato sequestrato. Invece  la rivista Znamia, alla quale Grossman aveva spedito il  suo manoscritto, aveva addirittura avvertito la polizia, segnalando la necessità  urgente di una confisca, per impedire che il testo, estremamente pericoloso,  fosse dato in lettura a parenti o amici. (La stessa sorte sarebbe toccata a”L’arcipelago del gulag” di Solzenytzin, nel 1973

 

 Eppure Grossmann, autore  di un romanzo sulla storia di un operaio,” Stepan Kolttchougine”,  non aveva mai dato ragioni di preoccupazione ai poteri burocratici di controllo culturale. Era infatti perfettamente conforme alle regole del realismo socialista, tanto da essere sponsorizzato da Gorki,   (1936-41),

Grande ammiratore di Tolstoj,  Grossman voleva scrivere una grande opera,  sull’esempio di Guerra e pace, un affresco della società sovietica, attraverso la storia di una famiglia e delle sue ramificazioni. 

Nel 1952 aveva pubblicato il primo volume “ Per una giusta causa”, e subito dopo si era messo a scrivere il secondo: “Vita e destino”.

 Il suo romanzo, scritto con nomi inventati, non da documentario, non avrebbe mai potuto essere pubblicato: così gli aveva detto un personaggio del Comitato Centrale, consigliandogli di consegnare tutti i manoscritti alla polizia, inviata per la perquisizione. Questo nonostante il disgelo e il XX° Congresso  dove Nikita Krustciov  aveva denunciato i crimini di Stalin.

Grossman sarebbe purtroppo  morto di cancro nel 1963, addolorato per il sequestro del suo libro maggiore. Ma aveva per fortuna  scritto un altro testo “Tutto passa”, in cui aveva ripreso gli stessi temi di “Vita e Destino”.

                                                                         ***

Perché il libro era stato  avversato come un pericolo?

 Fra il 1949 e il 1953 Grossman  era un ebreo in crisi:  aveva assistito allo scatenamento di una vigorosa campagna anti-semita e all’arresto di alcuni ebrei,  bolsceviki convinti, una campagna che si era conclusa nel 1953  con il  famoso processo  ai medici “avvelenatori”, i camici bianchi.

Era stato anche  giornalista militare, prima a Stalingrado, durante l’assedio,  e poi aveva seguito l’Armata rossa fino in Germania, al campo di concentramento di Treblinka, e ne era rimasto sconvolto. Nel suo  romanzo c’erano ampie tracce del suo lavoro di reporter di guerra, e perfino un capitolo in cui immaginava la morte di ebrei a Treblinka, con i loro bambini, nelle camere a gas, “per fare la doccia”…

 Era rimasto colpito  dalla  similitudine della  realtà concentrazionaria, in Germania e in Russia, e aveva deciso di ripensare alla storia del proprio paese dopo la Rivoluzione, alla luce sinistra del lager  della Treblinka e  dei gulag della Kolyma, dove c’erano lagers di sterminio,  sia pure senza camera a gas.  Era ossessionato da una domanda:  perché l’Avvenire radioso socialista aveva avuto gli stessi esiti del demoniaco Walalla?

Grossman sapeva che  a Stalingrado l’esercito tedesco era stato vincitore sul Volga, e   le SS avevano addirittura potuto organizzare sui territori occupati  dei lagers con i prigionieri di guerra, ma   Baffone   aveva poi  potuto ascrivere a sé stesso il merito patriottico della  resistenza  nella città assediata e della vittoria finale, grazie all’offensiva. Finiti i sogni dell’Internazionale! Era venuto il momento di uccidere gli invasori tedeschi, e  difendere la patria, per  il socialismo in un solo paese.

A Stalingrado, i due regimi, nazista e stalinista, apparentemente antagonisti, finivano per  specchiare l’uno nell’altro  molte somiglianze: la catastrofe sarebbe stata  certamente per i vinti. Basta leggere le lettere laceranti dei militari tedeschi alle loro famiglie, mai pervenute,  rimaste chiuse negli archivi di stato nazisti a Berlino est,  e pubblicate solo  dopo la caduta del Muro.

Ma sarebbe stata  anche una catastrofe per i russi vincitori, perché, .dopo aver consolidato nei  gulags,   lo sfruttamento dei detenuti, (contadini, operai, intellettuali  e  bolsceviki oppositori),  utilizzandoli  gratuitamente per i lavori pesanti   (estrazione mineraria, di oro, carbone e petrolio, costruzione di infrastrutture ecc.), Stalin, proprio nel decimo anniversario della vittoria a Stalingrado, nel 1952-53,  si sarebbe lanciato nella sua campagna anti-semita.

”Il lavoro rende liberi”, diceva un cartello ad Auschvitz, e alla Kolyma il lavoro si perfezionava con lo stachanovismo produttivo, cioè con lo  schiavismo convinto  dei detenuti,   in  omaggio  glorioso al  compagno Stalin.

                                                                            ***                                                                          

Molto significativo nel romanzo un dialogo fra due comunisti prigionieri in una miniera di carbone, Abartciuk e Magar: il primo pensa  che il suo arresto  sia stato un errore, un dettaglio, che non avrebbe mai potuto inficiare il grande progetto di palingenesi sociale di Stalin e del Partito, nei quali continuava a credere, mentre il suo ex-maestro Magar nutre al riguardo profondi dubbi. E’  invecchiato, molto malato e si trova all’ospedale del lager, accanto a un altro detenuto, già morto.

“Noi la libertà l’abbiamo schiacciata, e senza libertà la rivoluzione proletaria non esiste. I comunisti si sono creati degli idoli, sono diventati nazionalisti, se la sono presa con i contadini e con  la classe operaia e finiranno come la Lega dei Centurioni neri, con i pogroms!..”.

- Tu stai delirando – gli risponde l’altro- Smettila!

- No, non deliro. E se non possiamo vivere da rivoluzionari, meglio morire! –

L’indomani Abartciuk porta su uno slittino un bidone di latte per il suo amico. L’infermiera, guardandolo gli dice: - Non potrà più berlo il latte. Stanotte si è impiccato.-  ( cap. 40,  pag. 178-79,   ed francese (Juillard, l’Age d’homme” 1980)

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2) Sorprendente poi la conversazione fra Liss,  il capo delle SS responsabile del lager approntato in Ucraina, rappresentante di Himler, ministro degli Interni a Berlino,  e il  detenuto bolscevico Mastovskoj.

Liss, tedesco di Riga, parlava bene russo e non aveva bisogno di interpreti. Si era fatto portare  in ufficio il bolscevico per interrogarlo, ma invece delle domande, con eventuali torture, si era lanciato in  strane affermazioni:

“Noi siamo un gioco di specchi: quando Ezov, capo della polizia sovietica, nel ’37 ha messo nel lager come nemici del popolo  i comunisti tedeschi scappati dalla Germania, ha anticipato quello che avrebbe poi fatto la Ghestapo nei nostri lager. Ci sono sulla terra due  grandi rivoluzionari: Hitler e Stalin, ed è nella Notte dei grandi coltelli che Stalin  ha trovato  l’esempio per le grandi purghe del ’37.  E anche le leggi razziali contro gli Ebrei, che voi tanto deplorate, presto ci saranno anche da voi: sono molto colpito dal vostro odio per la giudeità.”

  Il bolscevico taceva, ma pensava che Liss  stesse dicendo il vero.

  E il capo SS continuava:” Il nazionalismo è la sola vera forza nel XX° secolo, l’anima del nostro tempo: e voi, con il Socialismo in un solo paese avete realizzato la suprema espressione del nazionalismo”. ( ibidem, p.378)

                                                                          ***

 Anche  Varlam  Shalamov  avrebbe raccontato la vita nei gulags sovietici, nei suoi  Racconti della Kolyma,  cominciati nel 1954,  descrivendo  il funzionamento della Carriola, al giacimento Partizan nella   miniera d’oro.

( I racconti della Kolyma, Einaudi, Torino, 1999, II° vol. pp.1138-1155 )

Aveva scritto il racconto dopo aver letto una lettera al Compagno Stalin del movimento stachanovista della Kolyma, dove i firmatari,  entusiasti della sua  propaganda, raccontavano come avevano quintuplicato la produzione del prezioso metallo. ( ibidem, nota, p.1155)

Shalamov era un militante trozkista, che aveva manifestato contro Stalin fin dal 1927, era stato più volte internato nei campi, estraendo  anche carbone, e solo nel 1956 era stato riabilitato.

Aveva cominciato a collaborare con la rivista Moskvà e poi con la Znamia, dove vennero  publicate le prime poesie. che poi sarebbero  apparsi  in  vari volumi negli anni successivi.

 Ma “I racconti della Kolyma sarebbero stati pubblicati in russo a Londra  nel 1978,  e poi anche  a Parigi, nel 1980, con un’introduzione di Siniavsky, mentre  sarebbero apparsi  a Mosca solo nel  1991. nove anni dopo la sua morte (1982)

Dopo le grandi purghe del '37, gli arrestati in base all'articolo 58 della Costituzione, con l'accusa di Trotskismo e Zinovievismo, venivano addetti alla Carriola, che, nel 1938,  in assenza di bulldozer e di  escavatrici meccaniche,  giunte solo più tardi,  durante la guerra, doveva garantire il funzionamento dell'estrazione dell'oro  nella miniera. Estrazione gratuita, naturalmente, com lo era quella del carbone, o del petrolio. Bisognava spingere la carriola fino in cima. I criminali comuni  ne erano esentati. Erano soltanto  i "social-traditori" politici a farla funzionare. E morivano come mosche, da lei schiacciati,  perché,  affamati e deperiti,  non avevano la forza di trascinarla col corpo fino alla piattaforma in alto. ) (Op.cit. , II° volume, p.760, e  poi “La Carriola”, II° vol. p.1138 - 1154).

Due testimonianze di vita vissuta: Grossmann e Shalamov  racccontavano, meglio di un libro di storia, quello che era accaduto nel paese. Il Termidoro staliniano, la fine della Rivoluzione,  sulla pelle dei russi.

Col suo libro, pubblicato in Francia solo nel 1980, Grossmann era arrivato alle stesse conclusioni del cineasta ebreo  di Leningrado, Schtorm, nel suo documentario “ Il Fascismo consueto”, che avevo visto a Mosca, insieme a Tania Sciaumiàn,  nel 1960, durante il mio primo soggiorno, quando ero  borsista ufficiale del Ministero degli esteri, per continuare le ricerche della mia tesi di laurea.

Anche li  le immagini  mostravano la somiglianza effettiva  dei 2 regimi: le parate, le delazioni,  le pratiche poliziesche con gli arresti notturni. Era  la stessa  violazione dei diritti umani, sociali  e civili, e il pubblico del cinema commentava: “A eto kak u nas!” E questo proprio come da noi…

 Molto interessante quello che aveva affermato  nel cap. 49  del libro:

 “Ci sono due forze nell’animo umano, lo spririto di sottomissione, che spinge ad accettare pedissequamente qualsiasi realtà (era quello che avevano dimostrato gli ebrei, scavando la propria fossa, in attesa di essere uccisi, il momento sospirato della  liberazione, ma anche di molti sovietici, al tempo delle purghe).

 “Ma esiste anche lo spirito della libertà, che spinge alla rivolta, come è accaduto nel ghetto di Varsavia, nel campo di Treblinka,  come pure a Berlino, nel 1953, dopo la morte di Stalin, con la ribellione  degli operai per salari migliori e per  la libertà di sciopero, e a Budapest, nel 1956. L’aspirazione della natura umana alla libertà  è invincibile: può essere schiacciata, ma non annientata. Questa è la luce del nostro tempo, la luce dell’avvenire” ( op.cit. cap. 49, p.200).

                                                                                     ***

L'8 settembre del 1965  quando io sono tornata in Italia,  gli scrittori  Daniel e Sinjavski dovevano essere arrestati.  Alla stazione un amico mi aveva portato il giornale che aveva pubblicato un racconto di Daniel “ le mani”.

Cominciava  il regno di Leonid Breznjev !...

- Kak budem sejcias  zit? Come vivremo ora ? diceva il famoso intervistatore  di Radio Erevan, protagonista di tutte le migliori storielle sovietiche.

"Po Brezniemu “.rispondeva l'intervistato.

Come Brima"- Con un gioco di parole: alla maniera di Breznjev...E Brima  che il dissenso dilagasse come un fiume in piena  in tutto il paese, sarebbe  passato ancora   un quarto di secolo.

L'Empire doveva veramente "éclater", solo  sotto il peso delle rivolte nazionalistiche: come un castello di carte. Dovevano pensarci gli Ukrajni, gli Armeni, i Georgiani, gli Uzbechi,  i Kirghisi, gli Estoni, i Lettoni, i Lituani, a   sollevare i Russi della Moscovia dal fardello  eccessivo  delle cure dell'impero.

 Ma la democrazia sarebbe stata veramente  possibile?

 Le vicende di Putin, ex agente del KGB  che  è stato  eletto 2 volte come Presidente, hanno finora dimostrato il contrario: se i giornalisti che difendono  la libertà di informazione  e alcuni  rappresentanti delle Associazioni per i diritti umani vengono fatti regolarmente  fuori, la democrazia non può considerarsi   esaurita   con  il ricorso alle urne.    La strada in Russia è ancora molto lunga. E così pure in Ukraina e in Bjelorussia.

 E per celebrare degnamente il settantesimo anniversario della vittoria di Stalingrado, bisogna rileggere “Vita e destino”, il libro sequestrato dal  KGB.

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