Quando ero a
Mosca come lettrice d’italiano all’Università, avevo avuto una
conversazione con Tanja Sciaumian,
nipote di un bolscevico ucciso nel 1920 dall’armata bianca a Bakù, la cui
famiglia era poi stata perseguitata dalla polizia di Stalin.
-
Si sapeva che gli errori vistosi di Baffone
come l’assassimio del maresciallo
Tuchacevski nel 1937 e
dell’agente del Komintern Sorge in Giappone nel 1939, gli avevano impedito di predisporre i
necessari strumenti di difesa del territorio.
Stalin si sentiva garantito dal
famoso Patto di acciaio, stipulato da Molotov e da Von Ribbentropp, che aveva permesso all’Urss di impadronirsi
di Estonia, Lettonia e Lituania e di
attaccare la Finlandia ,
ma non aveva capito che non avrebbe affatto impedito
a Hitler di scatenare il suo
vero piano: l’attacco all’Urss e l’avanzata dell’esercito tedesco fino al
Volga, con la distruzione delle
fabbriche di trattori, della centrale elettrica di Stalingrado e centinaia di migliaia di morti.
Lo Stato c'era,
- dicevo io - ma dov'era la Rivoluzione ? Tania si era messa a ridere.
-
A pensarci bene
invece qualcosa era cambiato,
rispetto all'era tsarista: tutti i cittadini sovietici erano stati
sollecitati a diventare dei
"Vasia", dei Giuda-delatori, per facilitare il compito dei
poliziotti. Un sistema ultra-perfezionato di sorveglianza sui “nemici del
popolo”. E a questo gli tsar non erano
arrivati.
Invece il sistema delle false confessioni sotto
tortura era già stato inventato dalla Terza Sezione della polizia
tzarista.. Era Strelnikov, lo
specialista, e nel ’37 venne messo in atto con le famose purghe
contro i nemici del popolo, soprattutto alla fine di quell ’anno.
-
“ La città che porta il mio nome non deve
cadere”
Fu questa la parola d’ordine proclamata da
Stalin all’inizio dell’assedio di Stalingrado, e non solo l’armata rossa ma
tutto il popolo avevano combattuto eroicamente nella difesa della città, per tener fede a
questo slogan, fra l’estate del 1942 e
il febbraio del ’43.
E proprio
nell’estate del ’42 mio padre ci
aveva portato in vacanza a Giaveno, in Piemonte, a poca distanza da un luogo
dove Benedetto Croce e la sua famiglia erano in villegiatura. Don Benedetto
stava scrivendo un saggio contro il marxismo, ma disse a mio padre, andato da lui
in visita, che per ora non
l’avrebbe pubblicato.
” I sovietici
stavano combattendo troppo bene a Stalingrado per fermare gli
orrori nazisti!”
Non solo Don Benedetto ma tutto il mondo occidentale democratico era
stato in ammirazione a fronte degli eroici sforzi bellici dell’Armata Rossa, al momento dell’invasione
tedesca in tutta Europa, e così migliaia di militanti antifascisti. E
l’offensiva finale con l’accerchiamento
delle divisioni tedesche a nord e a sud della città avrebbe invertito le sorti del conflitto a
favore dei russi e degli occidentali.
Il solo a
non condividere l’esaltazione di Stalin era uno scrittore russo ebreo, corrispondente militare a Stalingrado,
Vassili Grossmna.
***
Nel 1965, quando ero a Mosca, non ero ancora al corrente del suo grande libro, “Vita e destino”,davvero
singolare. Non circolava, nemmeno in samizdat,
perché i manoscritti erano stati
confiscati dal KGB nel 1962.
Scritto prima del Dott. Zivago, durante e dopo
la sua pubblicazione in Italia, era stato
considerato molto più pericoloso del romanzo di Pasternak. Se la rivista Novyj Mir ne aveva rifiutato la
pubblicazione, Zivago non era però mai stato sequestrato. Invece la rivista Znamia, alla quale Grossman aveva
spedito il suo manoscritto, aveva addirittura
avvertito la polizia, segnalando la necessità
urgente di una confisca, per impedire che il testo, estremamente
pericoloso, fosse dato in lettura a
parenti o amici. (La stessa sorte sarebbe toccata a”L’arcipelago del gulag” di
Solzenytzin, nel 1973
Eppure
Grossmann, autore di un romanzo sulla
storia di un operaio,” Stepan Kolttchougine”,
non aveva mai dato ragioni di preoccupazione ai poteri burocratici di
controllo culturale. Era infatti perfettamente conforme alle regole del
realismo socialista, tanto da essere sponsorizzato da Gorki, (1936-41),
Grande ammiratore di Tolstoj, Grossman voleva scrivere una grande
opera, sull’esempio di Guerra e pace, un
affresco della società sovietica, attraverso la storia di una famiglia e delle
sue ramificazioni.
Nel 1952 aveva pubblicato il primo volume “ Per
una giusta causa”, e subito dopo si era messo a scrivere il secondo: “Vita e
destino”.
Il suo
romanzo, scritto con nomi inventati, non da documentario, non avrebbe mai
potuto essere pubblicato: così gli aveva detto un personaggio del Comitato
Centrale, consigliandogli di consegnare tutti i manoscritti alla polizia,
inviata per la perquisizione. Questo nonostante il disgelo e il XX°
Congresso dove Nikita Krustciov aveva denunciato i crimini di Stalin.
Grossman sarebbe purtroppo morto di cancro nel 1963, addolorato per il
sequestro del suo libro maggiore. Ma aveva per fortuna scritto un altro testo “Tutto passa”, in cui
aveva ripreso gli stessi temi di “Vita e Destino”.
***
Perché il libro era stato avversato come un pericolo?
Fra il
1949 e il 1953 Grossman era un ebreo in
crisi: aveva assistito allo scatenamento
di una vigorosa campagna anti-semita e all’arresto di alcuni ebrei, bolsceviki convinti, una campagna che si era
conclusa nel 1953 con il famoso processo ai medici “avvelenatori”, i camici bianchi.
Era stato anche
giornalista militare, prima a Stalingrado, durante l’assedio, e poi aveva seguito l’Armata rossa fino in
Germania, al campo di concentramento di Treblinka, e ne era rimasto sconvolto.
Nel suo romanzo c’erano ampie tracce del
suo lavoro di reporter di guerra, e perfino un capitolo in cui immaginava la
morte di ebrei a Treblinka, con i loro bambini, nelle camere a gas, “per fare
la doccia”…
Era
rimasto colpito dalla similitudine della realtà concentrazionaria, in Germania e in
Russia, e aveva deciso di ripensare alla storia del proprio paese dopo la Rivoluzione , alla luce
sinistra del lager della Treblinka
e dei gulag della Kolyma, dove c’erano
lagers di sterminio, sia pure senza
camera a gas. Era ossessionato da una
domanda: perché l’Avvenire radioso
socialista aveva avuto gli stessi esiti del demoniaco Walalla?
Grossman sapeva che a Stalingrado l’esercito tedesco era stato
vincitore sul Volga, e le SS avevano
addirittura potuto organizzare sui territori occupati dei lagers con i prigionieri di guerra,
ma Baffone aveva poi
potuto ascrivere a sé stesso il merito patriottico della resistenza
nella città assediata e della vittoria finale, grazie all’offensiva.
Finiti i sogni dell’Internazionale! Era venuto il momento di uccidere gli
invasori tedeschi, e difendere la
patria, per il socialismo in un solo
paese.
A Stalingrado, i due regimi, nazista e
stalinista, apparentemente antagonisti, finivano per specchiare l’uno nell’altro molte somiglianze: la catastrofe sarebbe
stata certamente per i vinti. Basta
leggere le lettere laceranti dei militari tedeschi alle loro famiglie, mai
pervenute, rimaste chiuse negli archivi
di stato nazisti a Berlino est, e
pubblicate solo dopo la caduta del Muro.
Ma sarebbe stata anche una catastrofe per i russi vincitori,
perché, .dopo aver consolidato nei
gulags, lo sfruttamento dei
detenuti, (contadini, operai, intellettuali
e bolsceviki oppositori), utilizzandoli
gratuitamente per i lavori pesanti
(estrazione mineraria, di oro, carbone e petrolio, costruzione di
infrastrutture ecc.), Stalin, proprio nel decimo anniversario della vittoria a
Stalingrado, nel 1952-53, si sarebbe
lanciato nella sua campagna anti-semita.
”Il lavoro rende liberi”, diceva un cartello ad
Auschvitz, e alla Kolyma il lavoro si perfezionava con lo stachanovismo
produttivo, cioè con lo schiavismo convinto dei detenuti, in
omaggio glorioso al compagno Stalin.
***
Molto significativo nel romanzo un dialogo fra
due comunisti prigionieri in una miniera di carbone, Abartciuk e Magar: il
primo pensa che il suo arresto sia stato un errore, un dettaglio, che non
avrebbe mai potuto inficiare il grande progetto di palingenesi sociale di
Stalin e del Partito, nei quali continuava a credere, mentre il suo ex-maestro
Magar nutre al riguardo profondi dubbi. E’
invecchiato, molto malato e si trova all’ospedale del lager, accanto a
un altro detenuto, già morto.
“Noi la libertà l’abbiamo schiacciata, e senza
libertà la rivoluzione proletaria non esiste. I comunisti si sono creati degli
idoli, sono diventati nazionalisti, se la sono presa con i contadini e con la classe operaia e finiranno come la Lega
dei Centurioni neri, con i pogroms!..”.
- Tu stai delirando – gli risponde l’altro-
Smettila!
- No, non deliro. E se non possiamo vivere da
rivoluzionari, meglio morire! –
L’indomani Abartciuk porta su uno slittino un
bidone di latte per il suo amico. L’infermiera, guardandolo gli dice: - Non
potrà più berlo il latte. Stanotte si è impiccato.- ( cap. 40,
pag. 178-79, ed francese (Juillard, l’Age d’homme” 1980)
***
2)
Sorprendente poi la conversazione fra Liss,
il capo delle SS responsabile del lager approntato in Ucraina,
rappresentante di Himler, ministro degli Interni a Berlino, e il
detenuto bolscevico Mastovskoj.
Liss,
tedesco di Riga, parlava bene russo e non aveva bisogno di interpreti. Si era
fatto portare in ufficio il bolscevico
per interrogarlo, ma invece delle domande, con eventuali torture, si era
lanciato in strane affermazioni:
“Noi siamo
un gioco di specchi: quando Ezov, capo della polizia sovietica, nel ’37 ha
messo nel lager come nemici del popolo i
comunisti tedeschi scappati dalla Germania, ha anticipato quello che avrebbe
poi fatto la Ghestapo nei nostri lager. Ci sono sulla terra due grandi rivoluzionari: Hitler e Stalin, ed è
nella Notte dei grandi coltelli che Stalin
ha trovato l’esempio per le
grandi purghe del ’37. E anche le leggi
razziali contro gli Ebrei, che voi tanto deplorate, presto ci saranno anche da
voi: sono molto colpito dal vostro odio per la giudeità.”
Il bolscevico taceva, ma pensava che
Liss stesse dicendo il vero.
E il capo SS continuava:” Il nazionalismo è
la sola vera forza nel XX° secolo, l’anima del nostro tempo: e voi, con il
Socialismo in un solo paese avete realizzato la suprema espressione del nazionalismo”.
( ibidem, p.378)
***
Anche
Varlam Shalamov avrebbe raccontato la vita nei gulags
sovietici, nei suoi Racconti della
Kolyma, cominciati nel 1954, descrivendo
il funzionamento della Carriola, al giacimento Partizan nella miniera d’oro.
( I
racconti della Kolyma, Einaudi, Torino, 1999, II° vol. pp.1138-1155 )
Aveva
scritto il racconto dopo aver letto una lettera al Compagno Stalin del
movimento stachanovista della Kolyma, dove i firmatari, entusiasti della sua propaganda, raccontavano come avevano
quintuplicato la produzione del prezioso metallo. ( ibidem, nota, p.1155)
Shalamov
era un militante trozkista, che aveva manifestato contro Stalin fin dal 1927,
era stato più volte internato nei campi, estraendo anche carbone, e solo nel 1956 era stato
riabilitato.
Aveva
cominciato a collaborare con la rivista Moskvà e poi con la Znamia, dove
vennero publicate le prime poesie. che
poi sarebbero apparsi in
vari volumi negli anni successivi.
Ma “I racconti della Kolyma sarebbero stati pubblicati
in russo a Londra nel 1978, e poi anche
a Parigi, nel 1980, con un’introduzione di Siniavsky, mentre sarebbero apparsi a Mosca solo nel 1991. nove anni dopo la sua morte (1982)
Dopo le
grandi purghe del '37, gli arrestati in base all'articolo 58 della
Costituzione, con l'accusa di Trotskismo e Zinovievismo, venivano addetti alla Carriola, che, nel 1938, in assenza di bulldozer e di escavatrici meccaniche, giunte solo più tardi, durante la guerra, doveva garantire il
funzionamento dell'estrazione dell'oro
nella miniera. Estrazione gratuita, naturalmente, com lo era quella del
carbone, o del petrolio. Bisognava spingere la carriola fino in cima. I
criminali comuni ne erano esentati.
Erano soltanto i
"social-traditori" politici a farla funzionare. E morivano come
mosche, da lei schiacciati, perché, affamati e deperiti, non avevano la forza di trascinarla col corpo
fino alla piattaforma in alto. ) (Op.cit. , II° volume, p.760, e poi “La Carriola”, II° vol. p.1138 - 1154).
Due
testimonianze di vita vissuta: Grossmann e Shalamov racccontavano, meglio di un libro di storia,
quello che era accaduto nel paese.
Il Termidoro staliniano, la fine della Rivoluzione, sulla pelle dei russi.
Col suo libro, pubblicato in Francia solo nel
1980, Grossmann era arrivato alle stesse conclusioni del cineasta ebreo di Leningrado, Schtorm, nel suo documentario
“ Il Fascismo consueto”, che avevo visto a Mosca, insieme a Tania
Sciaumiàn, nel 1960, durante il mio
primo soggiorno, quando ero borsista
ufficiale del Ministero degli esteri, per continuare le ricerche della mia tesi
di laurea.
Anche li
le immagini mostravano la
somiglianza effettiva dei 2 regimi: le
parate, le delazioni, le pratiche
poliziesche con gli arresti notturni. Era
la stessa violazione dei diritti
umani, sociali e civili, e il pubblico
del cinema commentava: “A eto kak u nas!” E questo proprio come da noi…
Molto
interessante quello che aveva affermato
nel cap. 49 del libro:
“Ci sono
due forze nell’animo umano, lo spririto di sottomissione, che spinge ad
accettare pedissequamente qualsiasi realtà (era quello che avevano dimostrato
gli ebrei, scavando la propria fossa, in attesa di essere uccisi, il momento
sospirato della liberazione, ma anche di
molti sovietici, al tempo delle purghe).
“Ma
esiste anche lo spirito della libertà, che spinge alla rivolta, come è accaduto
nel ghetto di Varsavia, nel campo di Treblinka,
come pure a Berlino, nel 1953, dopo la morte di Stalin, con la
ribellione degli operai per salari
migliori e per la libertà di sciopero, e
a Budapest, nel 1956. L’aspirazione della natura umana alla libertà è invincibile: può essere schiacciata, ma non
annientata. Questa è la luce del nostro tempo, la luce dell’avvenire” ( op.cit.
cap. 49, p.200).
***
L'8 settembre del 1965 quando io sono tornata in Italia, gli scrittori
Daniel e Sinjavski dovevano essere arrestati. Alla stazione un amico mi aveva portato il
giornale che aveva pubblicato un racconto di Daniel “ le mani”.
Cominciava
il regno di Leonid Breznjev !...
- Kak budem
sejcias zit? Come vivremo ora ? diceva il famoso intervistatore di Radio Erevan, protagonista di tutte le
migliori storielle sovietiche.
"Po
Brezniemu “.rispondeva l'intervistato.
Come Brima"- Con un gioco di parole: alla maniera di Breznjev...E Brima che il dissenso dilagasse come un fiume in
piena in tutto il paese, sarebbe passato ancora un quarto di secolo.
L'Empire doveva veramente "éclater",
solo sotto il peso delle rivolte
nazionalistiche: come un castello di carte. Dovevano pensarci gli Ukrajni, gli
Armeni, i Georgiani, gli Uzbechi, i
Kirghisi, gli Estoni, i Lettoni, i Lituani, a
sollevare i Russi della Moscovia dal fardello eccessivo
delle cure dell'impero.
Ma la
democrazia sarebbe stata veramente
possibile?
Le
vicende di Putin, ex agente del KGB
che è stato eletto 2 volte come Presidente, hanno finora
dimostrato il contrario: se i giornalisti che difendono la libertà di informazione e alcuni
rappresentanti delle Associazioni per i diritti umani vengono fatti
regolarmente fuori, la democrazia non
può considerarsi esaurita con
il ricorso alle urne. La strada
in Russia è ancora molto lunga. E così pure in Ukraina e in Bjelorussia.
E per
celebrare degnamente il settantesimo anniversario della vittoria di
Stalingrado, bisogna rileggere “Vita e destino”, il libro sequestrato dal KGB.
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