mercoledì 4 dicembre 2013

A proposito di JFK. Lettera aperta a Furio Colombo

Caro Colombo, ho letto con molto interesse  il  libro pubblicato dall’Espresso nel 50° anniversario della  scomparsa di Kennedy.
 Un eccellente antologia di articoli, preceduta dalla tua commossa introduzione.  Eri un sodale, a Boston, e ti eri dato da fare per far convergere su di lui i voti della comunità italiana che  lì risiedeva.
 In quel periodo ero all’Università di  Berkeley, grazie a una borsa Fulbright, ottenuta grazie al suggerimento di Franco Venturi,
per poter continuare i miei studi di storia e di letteratura russa nel dipartimento diretto  di Slavic Studies diretto da Grossman.

Concordo con te  su un punto importante: il radicale cambiamento generazionale che aveva accompagnato la sua candidatura alla Presidenza degli Stati Uniti, e l’ altissima adesione  al mito della Nuova Frontiera che il Presidente aveva indicato nel suo discorso della Convention democratica a Los Angeles il 15 luglio del 1960.
Tu indichi una data precisa nel divorzio che successivamente si era manifestato rispetto alle strategie del Presidente: l’infausta guerra del Vietnam, iniziata nel 1963, poco prima del suo assassinio.
In realtà Kennedy non aveva mai accondisceso all’invio di  truppe  combattenti americane, come gli chiedevano i  membri della staff governativa ( Mc Namara, ministro della Difesa,  il gen. Taylor, e Bundy, consigliere per la Sicurezza) : si era limitato solo a inviare 16.000 consiglieri militari, e un mese prima di morire ne aveva già richiamati 1000.  Pare che lui e il fratello Bob  fossero già stati in Vietnam da ragazzi, nel 1951 , e fossero rimasti impressionati dai postumi della sconfitta coloniale  subita dalla Francia in quel paese. Lo scrisse Bob Kennedy nelle sue memorie.
Ma una volta scomparso Kennedy ,  il suo successore Lyndon Johnson  si era invece affrettato , dopo la sua elezione nel 1964, a inviare 500. 000 militari   e la guerra cominciò provocando l’allontanamento spirituale di migliaia di suoi sostenitori,  e la morte  di migliaia di  americani.
Come dice il suo biografo Clark, se JFK fosse vissuto la storia sarebbe andata molto diversamente. Non ci sarebbe stata la guerra.

 Io credo però che il vero divorzio da Kennedy  sia  iniziato molto prima, già nell’aprile del 1961, dopo la fatale spedizione voluta dalla Cia alla Baia dei Porci per riconquistare Cuba. Soprattutto fra i giovani europei  che si aspettavano molto dalla sua elezione per un vero cambiamento, anche perché Fidel  Castro,  con  la sua rivoluzione a Cuba   contro il  fascista Fulgenzio Battista, era già un mito da noi.

Gli Stati Uniti nel 1959   erano stati  favorevoli alla rivoluzione  e al primo governo democratico di Fidel, ma quando successivamente aveva proceduto a nazionalizzare le immense piantagioni di canna da zucchero, i bordelli di lusso e gli hotel americani come l’Avana Hilton, non furono più d’accordo: i loro interessi economici erano stati lesi.

 Quindi Eisenhower aveva lasciato in eredità all’amministrazione Kennedy un memorandum, il cui slogan era “Non possiamo vivere con Castro”.
Elaborato in collaborazione con la CIA, diretta da Allen Dulles, esso forniva informazioni non veritiere sul paese, ed erano stati organizzati soprattutto in Guatemala 7 campi di addestramento dei profughi cubani, soprattutto rappresentati dai seguaci di Fulgenzio Battista, che avevano tutelato gli interessi coloniali degli Stati Uniti.
 E lo storico Schlesinger, illustre collaboratore di Kennedy, aveva redatto per il Presidente un panphlet  anti castrista, in cui si sposavano le posizioni estreme e ottuse della destra repubblicana, a sostegno degli interessi economico-coloniali Usa. Cuba a sue passi dagli States era troppo comoda.

Ora fra i fuorusciti cubani c’erano anche esponenti della borghesia democratica, guidata  da Manuel Ray , un ingegnere  che era stato ministro dei  lavori pubblici  nel primo governo di Castro, ma che non aveva condiviso la politica di riforme sociali a favore dei contadini poveri cubani, né le nazionalizzazione delle proprietà americane,  come pure  il  successivo orientamento  del governo in senso marxista e filo-sovietico.

Negli Stati Uniti si era quindi sviluppato un profondo orientamento anti-castrista, anche perché la Cia affermava che con una spedizione militare nel Nord dell’isola, gli oppositori di Castro si sarebbero ribellati al regime, e che quindi la vittoria sarebbe stata facile.
Kennedy  aveva però  negato al Pentagono l’invio massiccio  di forze dell’aviazione, dell’esercito e della marina, limitando  lo sbarco solo a una piccola parte delle truppe: per non compromettere gli Stati Uniti nel caso di un fallimento dell’operazione, sperando  che questo sarebbe bastato a  far scoppiare una rivolta nel paese.

In realtà la Cia di Allen Dulles non aveva affatto informato del progetto di blitz militare  i fuorusciti democratici e  Josè  Cardona che li guidava, e quindi loro , messi addirittura in isolamento, non avevano potuto coadiuvare   sul piano clandestino il successo dello sbarco.
Quindi i 350  ribelli seguaci di Battista erano stati facilmente annientati dalle forze delle milizie e dell’esercito cubano, equipaggiato con efficaci  armi automatiche  fornite dai russi.
 ***
Il problema doveva tornare a presentarsi l’anno successivo,  nell’ottobre  del 1962, quando le navi sovietiche si stavano dirigendo verso il porto dell’Avana con un carico di missili a medio-gittata, in grado di portare testate atomiche. Kennedy, sbagliando,  pensava avessero solo una capacità difensiva. ma aveva imposto il blocco navale del porto, un’azione unilaterale americana, decisa senza l’Onu.  C’era infatti  la destra repubblicana,  guidata da Barry Goldwater  favorevole alle tesi dei militari oltranzisti come il gen, Walter, che esigevano una risposta immediata ed efficace  per cogliere  di sorpresa i russi.
 Kennedy e suo fratello Bob volevano invece condurre l’azione sul piano diplomatico, costringendo i russi a dire la verità all’Assemblea generale dell’Onu, escludendo però categoricamente  l’uso della forza,  che avrebbe potuto  generare un conflitto atomico. Era andato a New York con un discorso calmo, legalistico, ma con un preciso ultimatum sia a Mosca che all’Avana . Le navi americane dovevano controllare il contenuto trasportato da quelle sovietiche, e poiché gli aerei  americani avevano fotografato le rampe  sulle quali erano stati sistemati i missili  russi sul territorio cubano, esse dovevano essere smantellate e i missili tornare nell’Urss.

                                              ***
2) Ecco ora il racconto di quella giornata il 22 ottobre 1962,    nel capitolo del mio libro “ Memorie di un’eretica”,  vissuta da studentessa sul campus universitario  di Berkeley.

Nuvole nere si addensavano   all'orizzonte internazionale.
Una sera sentii  uno strano concerto nell'aria: le campane della chiesa del campus suonavano un carillon,  sull' aria della Marsigliese(?!.)
Era strano. Scesi in strada, e vidi  una folla di studenti  dirigersi al centro del campus, tutti ad ascoltare il discorso  alla nazione di Kennedy. Era il 22 ottobre 1962.
In quei tempi Fidel  era  già  un mito, per tutta la sinistra, e non solo italiana. La  cacciata di Fulgenzio    Batista da Cuba,  grazie alla guerriglia, iniziata sulla Sierra Nevada nel sud dell’isola, gli aveva assicurato   la simpatia di Hemingway, antico combattente anti-fascista, e della  sinistra europea. Tutto aveva contribuito a renderlo leggendario.
 All'inizio gli americani lo vedevano con molto  favore. Poi,  quelli che avevano investito nel paese, si erano accorti che i loro interessi erano gravemente  minacciati:  tutto era stato  rapidamente nazionalizzato (le case da gioco,  i bordelli di lusso,  le piantagioni di canna da zucchero, i grandi alberghi . L’Havana Hilton si chiamava ora l’’Havana libre”) 
Peccato: Cuba era una bella colonia americana, e molto comoda, a un passo dagli States!... Gli esuli andavano quindi organizzando la loro opposizione da Miami, in Florida, aiutati dai ricchi investitori americani.
Fidel,  per proteggere le sue nazionalizzazioni,  si era   avvicinato all'Urss. Era quindi  disfunzionale  per la sicurezza degli Stati Uniti: cominciava ad essere  veramente pericoloso.
La sera, all'International House di Berkeley  venne organizzato un dibattito, a cui parteciparono americani e stranieri. Toni gravi e discorsi preoccupati.
Io ripensavo alla Marsigliese. Era Fidel che sbarcava a Miami o erano gli americani che erano  già andati  a Cuba, fin dall’anno prima? 
 Non erano forse  stati proprio i marines,  les enfants de la patrie, con il  loro  sbarco alla Baia dei Porci,  nell’aprile del 1961?  Era stato un tentativo di riconquistare l’isola, sul piano militare, ma era fallito. Ora  invece il problema erano i missili sovietici  a media gittata, chiesti da Fidel all’Urss, puntati  contro la base americana di  Guantanamo. Mai come allora  il paese era stato in pericolo.
Certo era un rischio calcolato sul filo del rasoio.  Un baratto: il ritiro dei missili contro Cuba Libre.  Questa doveva essere la spiegazione ufficiale, più tardi,  per giustificare quella mossa da poker  (che tra l’altro sarebbe costata proprio a Krustciov  la perdita del potere, due anni dopo): infatti  intanto si rischiava una possibile  guerra atomica, e la piccola Cuba sarebbe scomparsa nel nulla con conseguenze imprevedibili per il pianeta.
Il mio pensiero andava a Fidel.
Chiesi la parola, e,  con la voce rotta dall’emozione, dissi tutto quello che l'America aveva rappresentato per l'Europa e per noi italiani  nella lotta contro il nazi-fascismo. Raccontai la mia emozione il giorno della liberazione di Roma, il 4 giugno 1944,  quando il soldato negro, issato su una jeep,  aveva gridato:'Viva l'Italia”, in  Via Sabotino, in festa.  E poi quanto fossero  vitali per  il mio avvenire  le borse che il senatore Fullbright   per il viaggio e  l'Università per il soggiorno  mi avevano  generosamente offerto,  per poter  continuare a studiare. Ma un attacco a Cuba,  un piccolo paese che aveva lottato contro il fascismo, come noi italiani, un attacco dall'America,"the so called Country of freedom", no, non era accettabile.  Era David contro  Golia.
In tutta coscienza  avrei rinunciato ai miei vantaggi, e sarei partita di nuovo, sia pure con la morte nel cuore. -
Non so se fosse stata la Marsigliese a incoraggiarmi a questo discorso tribunizio . Fatto sta che il successo fu travolgente. Gli applausi piovvero frenetici, e non solo dagli studenti stranieri. Dovevo scoprire, quella sera, che Berkeley era un campus "rosso" (!)  L'American Left era tutta li,  al dibattito. Fragole e sangue. Cosi si sarebbe intitolato un celebre film sul primo movimento di contestazione studentesca, che sarebbe scoppiato l'anno seguente  proprio  a Berkeley, in anteprima assoluta mondiale.
Qualcuno venne a congratularsi. Così conobbi Norman, uno studente di diritto ebreo, di origine polacca. Intanto una cinepresa filmava il dibattito. Credevo fossero gli studenti, ma mi sbagliavo.
 Nel frattempo tutta l'isola  di Cuba si era mobilitata.
 I fratelli Kennedy avevano bloccsto il porto dell’Avana, per impedire alle navi russe di apportare i loro missili.
Ora però  dovevano lottare contro i loro esagitati militari,  impazienti di attaccare, e conducevano  il loro negoziato con molta pazienza, alle Nazioni Unite, mettendo in serio imbarazzo  il Ministro degli esteri  Gromyko. Bisognava indurre i russi a ritirare i missili,  e a distruggere le rampe su cui alcuni erano già stati installati.  Per fortuna  Krustciov, molto responsabilmente aveva subito  accettato la proposta americana. Avrebbero fatto come lui voleva. La risposta di Kennedy fu molto positiva: Krustciov aveva reagito come un uomo di stato. Gli aveva offerto   una buona proposta in cambio:  Cuba libre. Il compromesso riuscì.
Brindammo tutti  insieme, la sera dopo: Viva  Kennedy  e  Viva Fidel!....
                         
                                                 ***
La mia gioia doveva essere  di breve durata. Nella cassetta della posta trovai una lettera. Era una convocazione dell'F.B.I. nel loro ufficio, a S.Francisco.  Che diavolo  potevano volere da me?
Non sapevo che in quel tempo era diretta dal terribile  Edgar Hoover, che aveva indagato perfino sul Presidente Franklin D. Rooswelt. Un controllore coi fiocchi. E  inoltre  in quel momento c’era un’ondata di anti-castrismo molto violenta, in tutti gli Stati Uniti. Il mio intervento aveva suscitato sospetti.
Ne parlai con Norman. Era di  famiglia israelita, emigrata in America dall'Europa centrale. Aveva  appena fatto il servizio militare e studiava legge. Si mise a ridere.
- Si, facevano sempre  cosi, anche nell'esercito. Controlli di routine. Dovevano essere stati loro a filmare il dibattito.
- Il suo consiglio?
- Mettere un vestito elegante, andare a San Francisco, recitare la parte di ragazza un po' svampita,  e soprattutto dire tutta la verità,  niente altro che la verità. -
- Come nei processi dei films ? Ma non avevo la Bibbia su cui giurare!...
                                    
                                              ***
Il tipo che mi doveva interrogare non mi aspettava cosi' presto. Quella notte doveva essere stata una hard day-night. Aveva la barba lunga, le gambe sul tavolo, leggeva le notizie su un giornale locale. La stanza era tutta in una nuvola di  fumo.
Quando entrai,  accompagnata da una segretaria,  si ricompose, imbarazzato. Per darsi un contegno mi offrì una sigaretta, che rifiutai con un sorriso.
- Grazie. Non fumo.-
Mi guardò  incuriosito. Forse le spie le immaginava diverse.
- Can i help-you? - dissi gentilmente, non senza ironia. (Per l'orso ci voleva un po di miele.)
Sul mio conto c'era già un bel dossier di informazioni.  Le riepilogò. Sapeva tutto:
-  che ero stata tra i firmatari di un documento anti- sovietico nel '56.
-  Che il mio nome figurava nelle liste universitarie "Rinasciàta" (Rinascita). Di sinistra.
-  Che ero stata  nell’ Urss, con una borsa ufficiale del Ministero degli Esteri italiano.
-  Che avevo fatto  anche discorsi alla radio, a Kiev,  e che una mia intervista era apparsa su un giornale  della città.
- Bene...Nient'altro?
- No...Confermavo?
- Confermavo, certo! Tutto pubblico, alla luce del sole. E allora?
Venne al dunque.
- Ero ancora  iscritta al partito Comunista?
-  No, me ne ero andata nell'ottobre del ’56,  dopo l’intervento sovietico in Ungheria.
Poi la domanda  chiave:
- Do you believe in private property?
Trattenni a fatica la voglia di scoppiare a ridere. La domanda era surreale. (E ora come faccio senza la Bibbia, su cui giurare?)
Il mio amore per il cinema mi venne per fortuna  in soccorso. Avevo appena visto un fantastico film con Montgomery Clift, che raccontava come il governo americano  all’epoca di Rooswelt, avesse confiscato negli anni  Trenta  le terre del Tennessee River per la costruzione di una diga,  indispensabile a dare energia elettrica alla regione e creare lavoro.
 Si vedeva l'immenso  dolore dei piccoli proprietari che non volevano partire, attaccati alla terra. Glielo raccontai, forzando i toni melodrammatici...
- E allora, come facevo io a credere nella proprietà privata, se,  anche negli Stati Uniti  c'erano stati casi  del genere,  quando era in gioco l'interesse della comunità?  E poi, le tasse?  Era quello il modo con il quale rispettavano la proprietà privata?-
 Capii di aver  toccato un punto cruciale. Quello era proprio un argomento dolente. Per tutti. Il pover uomo era strabiliato.
- Ma insomma, - mi fece esasperato, - Do you believe that  every thing must be nationalised?
E io, rassicurante:
-Nooo!...Non tutto. For  instance, i miei orecchini, no.
Scoppiò in una bella risata,  rasserenato. Ci salutammo cordialmente, ma gli dissi:
- Avevo una borsa dell'Università di California, una tesi da scrivere, e non avevo tempo da perdere.  Se proprio aveva bisogno di altre precisazioni poteva venire lui  a Berkeley.  Gli avrei offerto un eccellente cup of   italian coffee. 
Altrimenti, mi sarei rivolta (sia pure con poche e forse infondate  speranze)  al Consolato d'Italia a San Francisco, per molestie. Lo dissi ridendo.  Ma lui capì  a volo. E grane con i diplomatici non ne voleva.
Quindi mi lasciarono in pace.”                               

                                                     ***

Sul piano mondiale    la Presidenza di Kennedy aveva avuto  una conseguenza importantissima, una vera svolta  nelle relazioni internazionali rispetto al periodo della guerra fredda: un trattato con l’Urss per lo stop agli esperimenti nucleari in terra e in acqua, con ispezioni reciproche e controllo degli armamenti,
 Sul piano interno aveva gettato le basi  del progetto per i diritti civili, che sarebbe stato realizzato dal Lyndon Johnson   dopo la sua scomparsa.
Ma  quali furono le conseguenze del suo assassinio nei vari paesi?

1)  Cuba:  grazie al compromesso la rivoluzione  era sopravvissuta.
 Ma l’alleanza con i  sovietici non era stata affatto positiva: il paese passò da una forma di colonialismo ad un’altra  perché:
I sovietici imposero  la coltivazione della canna da zucchero, che compravano a prezzi stracciati, impedendo la coltivazione di altri prodotti agricoli che avrebbero consentito a Cuba una maggiore autonomia sul piano alimentare, molto importante a causa dell’embargo commerciale americano.
Inoltre imposero al governo l’acquisto a carissimo prezzo  dei loro trattori, costruiti per terre di pianura, inadatti al terreno collinoso dell’isola. ( Ma per fortuna una cooperativa emiliana, Giovannoni e Giovannardi propose  trattori  più efficaci al governo, alla barba dell’embargo americano)
Cominciò anche un sistema di sorveglianza poliziesca dei dissidenti, che determinò la  loro fuga dal paese : nessuna libertà di associazione e di stampa, e tanto meno il diritto di sciopero.
Senza contare il sistema sovietico nella distribuzione commerciale, che per la popolazione comportava lunghe code e carenza di prodotti.



2) Italia

Gli stessi ricchissimi petrolieri texani, di estrema destra, appartenenti alle Sette Sorelle, che avevano organizzato l’attentato all’aereo di Mattei, colpevole  di aver contrastato i loro interessi nei paesi fornitori di petrolio nel terzo mondo, quando era a capo dell’Eni, decisero di far fuori Kennedy. Stevenson lo aveva scongiurato di non andare a Dallas, dove c’era contro di lui un fiume di odio.  Volevano punirlo perché era  stato  per stipulare un accordo  con Mattei,  per  sabotare i loro interessi, proprio alla vigilia dell’attentato sull’aereo?   Punirlo per la politica da lui sostenuta in favore dei paesi poveri del Terzo mondo?
Il governo di centro-sinistra , voluto da Fanfani si appoggiava sulla figura dell’imprenditore energetico Mattei,  come lo zoccolo duro per intraprendere un radicale percorso riformatore.
Dopo la sua scomparsa i governi di centro sinistra, capeggiati da Aldo Moro, (1963-68)   dovettero annacquare i loro progetti, essendo venuta a mancare la figura principale.
 Quindi  il 2 dicembre  ’69 cominciò la strategia della tensione, con il massacro di Piazza Fontana a Milano, che doveva sfociare nel ’72 nel governo di destra presieduto da Leone, con Andreotti al Ministero della difesa.

3) Paesi dell’America Latina:
In Bolivia nel ’67 venne ucciso Che Guevara: aveva capito che Cuba, senza il sostegno di altri latino-americani non avrebbe mai potuto farcela sul piano economico.
Nel 1973, in Cile  l’esperimento del governo social-comunista di Salvatore Allende, che avrebbe potuto costituire un esempio anche per l’Italia, fu sgominato dal golpe di centro-destra di Augusto Pinochet: la dc cilena era passata ai fascisti. Allende venne ucciso.
Si è poi scoperto che Andreotti e Strauss, ministri della difesa italiano e tedesco avevano finanziato lo sciopero dei trasportatori in Cile, all’origine del golpe.
 A nulla valse poi  il progetto berlingueriano del Compromesso storico, disegnato insieme ad Aldo Moro, per impedire che i democristiani si alleassero con i fascisti in Italia.
 Moro venne rapito e ucciso nel marzo 1978 , perché Nixon e il suo segretario di Stato Kissinger non avevano proprio capito l’abile disegno di Moro: le convergenze parallele, nel momento in cui l’Urss, era tornata su posizione staliniste. Moro venne rapito e poi ucciso per questa ragione.
 Tra le BR c’erano infiltrati dei servizi segreti, come Moretti.
4) Anche per l’Urss, la scomparsa di Kennedy fu  nefasta perché segnò la solitudine di Krustciov, che nell’ottobre  1964 doveva essere deposto,   dopo aver fatto rientrare dai gulag molti zeks, prigionieri .
 La linea di denuncia dei crimini di Stalin da lui perseguita nel 1956 col XX° Congresso e continuata anche  col XXI°, non poteva affermarsi in un paese nel quale la società civile si era troppo compromessa  attraverso un robusto  sistema di delazioni politiche, e di appropriazione di appartamenti, posti di lavoro ecc.  con la politica repressiva di Stalin e di Beria.
 Nei processi i delatori,  smascherati dalle vittime  tornate dai gulags,  erano presi da crisi cardiache,  e gli stalinisti ancora presenti nel partito finirono per rivoltarsi . Il loro leader era  il prudente Breznjev.
Quando io giunsi a Mosca nel gennaio 1965   con un incarico ufficiale di lettrice d’italiano all’Università, mi raccontarono subito una barzelletta.
“ Perché era caduto Krustciov? -
-Beh, A causa delle tre K. Krisis agricola, Kuba, e Kuskina Mat” cioè  madre Mignotta, (o figli di puttana) , che Nikita Serghievitc scagliava in pieno Soviet Supremo contro gli stalinisti.
Il gioco di azzardo dei missili spediti a Cuba aveva effettivamente  messo il mondo  sull’orlo di un conflitto nucleare. E  molti comunisti  sovietici  avevano disapprovato, e incoraggiato quindi  la vittoria di Leonid Breznjev.
 Secondo un’altra barzelletta  poi  un giornalista di Radio Erevan, che intervistando un funzionario del PCUS  gli chiedeva:
- Ditemi,  compagno, - come vivremo ora?
 E quello rispondeva: Po Brezniemu . Alla maniera di Breznjev… .
( facendo un  gioco di parole con Po- Prezniemu, come prima).
            Quindi: Come Brima!...
 E un tremendo periodo di ritorno al passato  sarebbe  durato  15 anni, fino alla  perestroika di Gorbaciov, e fino alla caduta del muro di Berlino

1 commento:

  1. Ricevo e pubblico il seguente commento inviatomi in posta elettronica dall'amico Furio Colombo (Mara Muscetta)

    LETTERA A MARA MUSCETTA

    Cara Mara Muscetta, riordinando alcuni testi, ho trovato il testo Kennedy che mi avevi inviato
    il 3 dicembre 2013, dopo la pubblicazione del libro Espresso. Prima di tutto scusa. Sapevo che dovevo risponderti ma non trovavo il reperto. In secondo luogo grazie, perchè mi hai dato un testo molto bello, importante, con l'altro punto di osservazione e di analisi. Io ho narrato quel tempo tra New York e Washington, vissuto con una sorta di partecipazione esistenziale, utile più per un diario alla Isherwood che per la riorganizzazione storica di materiali ed eventi. . Tu lo ricostruisci da un punto di vista delle sequenze che di volta in volta hanno cambiato la scena,e del senso politico degli eventi. E - sopratutto - aggiungi la veduta da Mosca, dentro la l'URSS e verso il mondo, con molta attenzione alla simmetria tra quanto si vedeva e sapeva e capiva da un
    punto del mondo ( e del potere e delle trame ) e dall'altro.
    Dunque tengo il tuo testo con gratitudine, rimpiango di non avere risposto subito e spero che ci sarà l'occasione di parlarne, di scrivere, di approfondire il confronto. Intanto ripeto, non solo per buone maniere, grazie, con amicizia.

    Furio Colombo

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