giovedì 29 marzo 2012

Ricordo di un uomo libero: Antonio Tabucchi

Lise Chapuis, Antonio Tabucchi e Mara Muscetta

Lo avevo incontrato  la prima volta a Parigi, nel 1987, alla presentazione del suo libro, “Notturno indiano”, che aveva ricevuto il premio Mèdicis per  libro straniero.
 Eravamo alla Libreria Italiana Tour de  Babel,  e per l’evento era venuto uno dei più grandi fotografi italiani,  Mario Dondero:   aveva scattato in quell’occasione una magnifica foto, che ritraeva Tabucchi insieme alla sua traduttrice, Lise  Chapuis,  e a me.
Dondero sapeva che ai miei corsi  di letteratura e cinema all’Istituto di Cultura,  insieme a comuni amici “mordus de l’Italie” (scrittori, traduttori, giornalisti),  leggevamo proprio quel testo ed altri, molto critici sul piano politico e letterariamente interessanti.
Mi avrebbe   fatto magnifico dono  di quella foto qualche tempo dopo.
Una dedica a Maurice Blanchot introduceva quel romanzo, intrigante, misterioso: “ Le persone che soffrono d’insonnia rendono la notte presente”.
Era il racconto di un viaggio nell’India del Sud,  un tempo dominata dai Portoghesi:  un uomo  era alla ricerca di un amico disperso, un percorso incongruo di un viaggio non turistico per scoprire il volto  occulto di paesaggi e  personaggi…
Antonio era nato a Pisa, nel 1943, quando la sua città era sotto i bombardamenti americani: l’ospedale era stato completamente evacuato, ed era rimasta,  unica partoriente.  sua madre, a cui l’ostetrica diceva:
“Signora,  per favore, faccia presto!“
 Il primo viaggio Antonio doveva farlo di notte,  in braccio a lei,  portata in canna sulla bicicletta da suo padre: in salvo, via dalla città distrutta,  verso la  loro casa in campagna. Mi chiedo se l’insonnia di cui soffriva fosse dovuta alle circostanze belliche della sua nascita, sotto il fragore delle bombe.
                                          ***
Lo avrei incontrato di nuovo nel 1997, alla festa del libro nella biblioteca  Méjanes di  Aix en Provence.
 Tutti i suoi romanzi erano ormai tradotti in Francia, con uno straordinario successo, e quello era l’anno  di “Sostiene Pereira”e de “La testa perduta di Damasceno Monteiro”, edito da Bourgois.
Ero stata nominata  direttrice all’Istituto di cultura a Marsiglia, ed eravamo stati tutti invitati ad Antibes, ad una cena in suo onore,  il 3 ottobre 1997: aveva molto sofferto Antonio, quella sera.  La municipalità era di Destra, e, alla presenza di nostri diplomatici sorridenti, il Sindaco aveva fatto un discorso presuntuoso e  saccente, con l’ansia delle etichette, e aveva finito col definire   il romanzo “inclassable”,
Ci eravamo  poi appartati in giardino con sua moglie, e Antonio  aveva detto, sorridendo:  “ Li abbiamo sufficientemente disturbati  stasera.“ Non gli  erano mancate  salaci   e pungenti battute da  vero toscano.  
Per distrarlo allora gli avevo raccontato un episodio divertente, accaduto due anni prima, in Italia.
Ero tornata a lavorare al Ministero degli Esteri, alla DGRC. Il mio  capufficio era un  diplomatico, ex socialista, gentile, ma come  tanti altri, era diventato ormai, anche per ragioni di carriera,  un italo-forzuto doc.
Berlusconi aveva stravinto sulla gioiosa macchina da guerra di Occhetto, ed io curavo la mia profonda depressione la sera,  mangiando cioccolatini e  leggendo “Sostiene Pereira”, l’ultimo suo romanzo, terminato il 25 agosto 1993.
Nel ’95 era uscito l’omologo film di Faenza, al quale Antonio aveva collaborato scrivendo i dialoghi, ed era stato scelto Marcello Mastroianni,  sebbene lo  avessero sconsigliato,  perché ormai era anziano. Invece fu un interprete fantastico.
Pereira  era la storia di un vecchio giornalista portoghese cattolico,  in esilio a Parigi, che Antonio aveva personalmente conosciuto,  rimanendo molto colpito dalla sua vicenda reale. Scriveva sul Lisboa, si occupava soprattutto di letteratura francese, ed era appassionato di quegli scrittori  cattolici, come MaritainL, Mauriac e  Bernanos, tutti collaboratori della rivista Esprit, ostili al franchismo, che sulla guerra civile in Spagna avevano duramente criticato la posizione ufficiale del Vaticano.
Ma il direttore  del “Lisboa” non gli faceva pubblicare nulla, perché temeva il no della censura.
Pereira era  un incerto di tutto e molto prudente: teneva i suoi articoli in una cartellina, rispettoso delle autorità costituite al potere: a quel tempo Salazar cominciava a non scherzare, ma lui non si faceva troppe domande.
 Pereira aveva ospitato a casa sua un giovane italiano, in fuga dalla Spagna dopo la fine della Repubblica, Monteiro Rossi, che faceva lavorare come stagista al giornale…Era il figlio che avrebbe sempre voluto avere e che sua moglie, morta da poco,  non aveva  potuto dargli.
Un giorno, picchiando duramente alla porta di casa,  erano entrati di prepotenza 3 brutti ceffi, in cerca del fuggiasco, lo  avevano raggiunto in camera,  massacrato di botte, lasciandolo pieno di sangue sul pavimento…Morto.
Pereira, in un sussulto di coscienza morale, era allora  andato al giornale, aveva  allora scritto  un articolo, denunciando il fatto, fingendo poi, con l’aiuto del suo medico, di avere ottenuto il visto della censura. (per questo aveva dovuto lasciare il Portogallo per sempre)
 La scena  finale faceva vedere  la passeggiata di Marcello-Pereira, per le vie di Lisbona, tornato di nuovo agile e moralmente  ringiovanito  per la  decisione di agire con coraggio,  per far conoscere a tutti  un intollerabile  sopruso criminale del regime. Oblomovismo finito.
Una  scena  bellissima che io, frustrata per molte ragioni,  avevo festeggiato con un urlo:“Abbasso il fascismo, abbasso Berlusconi!”
 Con mia grande sorpresa   il pubblico in sala si era messo freneticamente ad applaudire.
Molto soddisfatta per il risultato del mio exploit, lo avevo raccontato alla mia amica Paola Viero, sindacalista  della CGIL Esteri che non riusciva a crederci.
 “Ma come, Berlusconi aveva stravinto, e la gente reagiva così? No, Mara, queste cose succedono solo a te.”
Non aveva ancora visto il film, quindi  le avevo proposto di andare a rivederlo insieme, per  ripetere l’esperienza,   e appurare se  quella   fosse stata una reazione casuale oppure  no. Anche la seconda volta   la gente in sala aveva applaudito, e una signora si era avvicinata a noi dicendo: “Ha avuto coraggio, signora!”
 Il mio racconto   divertì moltissimo sia Antonio che sua moglie.
Detta così quella lode della signora mi parve esagerata. Beh francamente, il parlamento c’era ancora,  Berlusconi non mi piaceva ma non era ancora Salazar… Ma l’inizio di Regime non avrebbe tardato a manifestarsi: nel 2001 ci furono gli spaventosi fatti di Genova, e quelli si, rivelavano gli aspetti  molto salazariani del nuovo potere.
Non per caso Nanni Moretti , sul palco insieme ai dirigenti del Pds a Piazza Navona,  doveva dire, esasperato: “Con questi non vinceremo mai!”
Antonio prese a collaborare nel 2001 sull’Unità, diretta da Furio Colombo e da Antonio Padellaro .L’anno seguente Flores organizzava la grande manifestazione al Palavobis a Milano. Cominciavano già i Girotondi in difesa della Costituzione,  e Tabucchi sull’Unità criticava  perfino Ciampi per aver firmato nel 2003 il Lodo Schifani.
“A quell’epoca-scrive Colombo sul Fatto Quotidiano- tutti si sdraiavano (giornalisti, anchor-men ecc.),  saltando i fatti o accettandoli come normali, riconoscendo ad Antonio “di non aver mai avuto per 17 anni un solo momento di esitazione a chiamare le cose col nome giusto” accumulando per questo citazioni, querele, cause civili, per milioni di euro”
I suoi articoli erano veramente pezzi di dinamite- dice anche Antonio Padellaro.
”La sua indomabile libertà è stata per molti di noi meravigliosamente contagiosa”.
Anche Marco Travaglio ricorda con quanta gioia aveva salutato la nascita del Fatto, nel 2009,  un giornale dove avrebbe potuto  scrivere  finalmente, anche in  Italia,  tutti gli articoli che Le Monde e il Pais facevano a gara per avere.
“Aveva osato chiedere  a Schifani di dar conto delle sue frequentazioni  con i mafiosi. difendendo un giornalista di Rai 3 che aveva fatto un servizio sull’argomento, e che era stato linciato anche da “Repubblica”- dice Marco Travaglio. Non apprezzava che anche Napolitano firmasse le leggi berlusconiane ad personam, che poi, per fortuna,  la Consulta, facendo il suo mestiere,  doveva dichiarare anti-costituzionali.
“ Tabucchi, come Pereira: in esilio?- si chiede Faenza
All’estero, si,  perché amareggiato dalla refrattarietà  di molti  ad usare le parole giuste al momento giusto.
La sua filosofia era molto semplice, ed io la condividevo pienamente. L’aveva enunciata   in un intervista a “Le Monde”, nel 1997:
 “Il Papa ha diritto di affermare l’esistenza di Dio: io ho il diritto di dubitarne”
Un uomo politico ha il diritto di affermare che viviamo nel migliore dei mondi possibili: io ho il diritto di metterlo in dubbio”.”Plus on doute, mieux on se porte! “
Con quel romanzo, “Sostiene Pereira”,  parlando del passato Tabucchi presagiva un futuro fosco e malsano”.-dice  il regista.  Proprio così  lo avevo percepito anche io. Il suo personaggio era divenuto un porta-bandiera della nuova resistenza a Berlusconi.
Antonio non amava gli indifferenti: per questo me lo aveva dedicato “ con molta simpatia”,  e quando gli mandai a Siena, dove ancora insegnava letteratura portoghese all’Università,  il manoscritto della mia autobiografia “Memorie di un’eretica,” mi rispose con una lettera molto gentile, che ancora conservo : lo aveva molto apprezzato, soprattutto per i capitoli relativi ai vari soggiorni nell’Urss e negli Stati Uniti, al tempo della crisi di Cuba, e dei diritti civili ancora  negati.“.  Aveva capito che non ero indifferente al fascismo: nero o rosso che fosse. Ne scrisse a Carlo Feltrinelli, sollecitando una lettura, che invece non ci fu, o almeno, se ci fu,  non fu quella giusta.
Grazie Antonio, per avermi fatto conoscere Pessoa, con la sua esistenziale Intranquillità, per aver  scritto dei libri essenziali, dei  veri viaggi, ancora ineludibili,  per capire uomini  società, e linguaggi   diversi: per aver amato il nostro paese, e  per aver sofferto, come ancora  oggi soffriamo noi,  che lo vorremmo molto più libero, più legale, coraggioso  e soprattutto più  giusto.
Nell’Europa più giusta di domani.

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