Massa Marittima, 13 aprile 2014
Caro Scalfari,
dunque lei ha festeggiato i suoi 90 anni il 10 aprile, con tanti amici , colleghi e conoscenti e a Lilly Gruber che lo ha intervistato a Otto e mezzo lei ha detto di essere soddisfatto della sua vita, intensa, piena di belle soddisfazioni, anche grazie al Caso, che spesso l’ha aiutata…( non mettiamo limiti alla Provvidenza,- disse il Caso.)
Io, ho preferito leggere il suo “Racconto autobiografico”, per ricordare le tappe del suo percorso, essendo stata una lettrice dell’Espresso dall’anno della sua nascita, 1955, quando era un lenzuolo in bianco e nero. Avevo 19 anni, e ho fatto così la mia educazione civica e politica.
Nella sua adolescenza lei ha esordito come giornalista scrivendo su un giornale del GUF: “Roma fascista”. Era fascista,- dice.- senza se e senza ma. Ma era un giornale su cui i giovani facevano la fronda. Lei venne cacciato dopo un articolo di po0litica economica e una grande discussione con Scorza.
La fronda esisteva anche sulla rivista di Bottai “Primato”, dove sia mio padre che Jaime Pintor, vincitori dei Littoriali, praticavano “la dissimulazione onesta”e dove Pintor, ufficiale, in tempo di guerra scriveva contro la guerra. (Il sangue d’Europa).
Mio padre aveva 12 anni più di lei ( nato nel 1912), ma, essendo amico di Guido Dorso, gobettiano, che aveva pubblicato “La rivoluzione meridionale” proprio nella casa editrice fondata da Piero Gobetti,), non era fascista, avendo appreso tutto ciò che gli squadristi avevano fatto al libero pensatore liberale, quando aveva espresso le sue opinioni. A 19 anni, al suo primo anno di Università, a Napoli venne alle mani con fascisti che avevano affisso un manifesto contro Croce, di cui si considerava allievo e seguace. Cambiò università e andò a studiare a Firenze.
Mio padre, dopo l’8 settembre, insieme a Leone Ginzburg, lavora all’ l’Italia Libera clandestina, organo del Partito d’azione, e viene arrestato alla tipografia di via Basento, poi portato a Via Tasso,malmenato e torturato dal maresciallo Brandt., mentre Ginzburg moriva dopo l’interrogatorio.
Fra l’8 settembre e il giugno 1944 lei non fa la Resistenza: “Furono mesi di spensieratezza (!), la città era occupata dai tedeschi e dai fascisti di Salò.”
Per evitare di doversi arruolare nell’esercito, e sfuggire alla legge che condannava a morte chi non lo faceva, lei si rifugia in un collegio gestito dai Gesuiti, in via dei Penitenzieri, che poteva ospitare fino a 120 persone. Ma, dopo l’attentato in via Rasella, i tedeschi cominciano a invadere anche luoghi del Vaticano, e in aprile del ’44 i gesuiti vi pregarono di andarvene. Cominciò quindi a lavorare con i volontari della libertà, per proteggere il Ponte S.Angelo dalle mine tedesche.
Alla fine della guerra lei seguì la famiglia in Calabria, e visse nel palazzo di suo padre: poi riprese gli studi di diritto e si laureò con una tesi in economia, a 23 anni, grazie alla quale ottenne un posto di lavoro alla BNL, segnalato dall’ Università di Roma , come uno dei migliori studenti. Scrisse un saggio che fu pubblicato sulla Nuova Antologia nel ’47.
Nel 1946 al Referendum su Monarchia e Repubblica lei votò Monarchia: mio padre fece campagna elettorale per la Repubblica nel Sud, dove erano tutti monarchici, rischiando sassate , ma indicando sulla scheda la nuova Regina: la Repubblica, con molto successo….
Lei divenne buon amico di Pannunzio, della sinistra liberale, che dirigeva “Omnibus” . Ma nel 1949 Pannunzio si distaccò dal partito liberale con Carandini e Storoni , essendo radicale di sinistra, e fondò “Il Mondo”, mentre Arrigo. Benedetti fondava “L’Europeo”.
Anche lei lavorava al “ Mondo “ , collaborando con Ernesto Rossi,del ex-Pda, sul tema di nazionalizzazione dell’industria elettrica.
Nel 1955, grazie a modesti capitali di Caracciolo, ma soprattutto a quelli importanti di Adriano Olivetti, nacque l’Espresso”: un anno dopo Olivetti si ritirava dall’impresa, per difficoltà con la Confindustria, regalando a Caracciolo tutte le azioni di sua proprietà, e L’Espresso potè così continuare le pubblicazioni mantenendo la linea politico-culturale decisa insieme.
Nel ’56 , dopo i fatti d’Ungheria, ci fu una grande emorragia politico-intellettuale dal PCI. Lei non nomina mio padre, pur essendo stato lui il redattore del manifesto dei 101, con Colletti e Bertelli. Ne parla invece lungamente Nello Aiello, collaboratore dell’Espresso, nel suo libro “Gli intellettuali e il PCI, “, e a p.404 cita anche il mio nome , da poco iscritta alla CGIL, dopo la denuncia dei delitti di Stalin al XX° Congresso. Infatti scortando lo storico Caracciolo, avevo portato il documento all’Unità, diretta da Ingrao, perché fosse pubblicato, cosa che naturalmente non avvenne. Nel frattempo Sergio Bertelli, ( che aveva subito lo stesso rifiuto nel 1953, con una mozione di protesta redatta all’Università, per l’intervento dei carri armati sovietici a Berlino, contro gli operai in sciopero per salari migliori,) consegnò il documento a Basevi dell’Ansa, perché lo pubblicasse lui.
Risultato: “Le Monde pubblicò il nostro documento, stimolando poi tutti gli intellettuali francesi a scriverne uno analogo contro l’Urss. . ( Bertelli venne cacciato dall’istituto Gramsci dove lavorava, e mio padre ricevette una lettera di Togliatti, in cui gli diceva perché si schierava dalla parte dei sovietici. E nel ’57 uscì dal PCI.
La linea dell’Espresso caldeggiava la formazione di un governo di centro-sinistra, che, grazie a Enrico Mattei, venne formato da Fanfani nel 1959: il programma era buono. Promossero subito la costruzione di case popolari ( vennero fatte allora per la I° volta, e poi mai più, come dimostrano le manifestazioni per il diritto alla casa di questi giorni).
Raimondo Craveri, entusiasta di Mattei e del governo , faceva scrivere a mio padre un epigramma: “ Il socialismo o si fanfanerà o non si farà!”
Mattei avrebbe dovuto essere ricevuto da Kennedy, d’accordo con lui per una politica petrolifera più equa nei paesi del terzo mondo, contro la linea delle Sette Sorelle, e favorevole alla nuova esperienza di centro-sinistra in Italia, ma Mattei venne ucciso nell’ottobre del ’62, con un attentato sull’aereo per Milano e l’anno dopo i texani a Dallas fecero fuori anche il Presidente Kennedy..
Fu così che il nuovo governo di centro- sinistra presieduto da Aldo Moro nel dicembre del ’63 nacque zoppo, senza il supporto importantissimo di Mattei.
Ricordo Antonio Giolitti, fuoruscito dal PCI e entrato nel PSI di Nenni e Lombardi, venne al matrimonio di mio fratello Sergio, l’8 dicembre del 1963, e tra un pasticcino e l’altro disse: “ Ho fatto anch’io un matrimonio, ma un po’losco, per la verità.”Aveva ragione.
Dopo la morte di Mattei emerge all’Eni Cefis, che inaugura un’altra linea politica non concorrenziale nei confronti dei petrolieri americani, e soprattutto, incoraggia l’annullamento di tutte le riforme programmate con i socialisti: via la programmazione economica, via la legge sui suoli demaniali, che minacciava gli interessi del Vaticano, proprietario dei terreni dovunque in Italia : quelle riforme erano contro le norme concordatarie. Così pensava il Presidente della Repubblica Segni, della destra DC , e nel ’64 concordò col generale dei Carabinieri De Lorenzo il famoso Piano Solo, che prevedeva l’arresto nottetempo di esponenti del PSI e del PCI, dei sindacalisti, e la loro deportazione in Sardegna, e contemporaneamente l’occupazione della radio e della TV.
L’Espresso iniziò una inchiesta giornalistica su questo fatto, poiché se tutto lo Stato maggiore aveva testimoniato a favore di De Lorenzo, che aveva accusato L’Espresso di averlo calunniato, il generale dei carabinieri a Milano, Zinza , aveva invece confermato tutte le accuse, e il PM Occorsio aveva proposto l’archiviazione del processo all’Espresso e predisposto un processo per golpe contro De Lorenzo: ma il giudice disse che non bastava una sola testimonianza e Jannuzzi e lei, Scalfari, veniste condannati .
Di questo fu responsabile il Presidente del Consiglio, Aldo Moro, che rese illeggibili le carte di Zinza con i famosi “omissis”. ( 1967)
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Grazie agli apporti di nuovi capitali della Cir di De Benedetti e della Mondadori nel ’68 nacque il quotidiano La Repubblica.
Era cominciata la protesta nelle ’Università ed erano nati movimenti extra-parlamentari, anche violenti. Le brigate rosse, nacquero a Trento, col cattolico Curcio che aveva letto Lenin come il catechismo. Pensava che Stato e Rivoluzione, fosse il nuovo Vangelo, senza fare nessuna differenza storica di contesto.
In quel periodo nasce quindi un patto di emergenza fra la DC di Aldo Moro e il PCI di Enrico Berlinguer, che , dopo tanti anni di percorso legalitario-democratico non voleva certo essere assimilato dall’opinione pubblica come difensore della violenza rivoluzionaria. Repubblica aderisce al patto, e rifiuta lo slogan dei radicali e di
Leonardo Sciascia “né con lo Stato ( che pure era molto corrotto) né con le BR.
Qui comincia il mio radicale dissenso con la sua linea e quella del giornale.
Quando Moro venne rapito in via Fani e tutta la scorta uccisa, venne tenuto prigioniero non molto lontano, in una strada della periferia romana.
Non si fecero seriamente i tentativi per ritrovarlo: Sciascia lo scrisse nel suo testo “L’affare Moro” e quando fece parte dell’inchiesta parlamentare firmò un documento di minoranza.
Anche se Moro era stato responsabile degli omissis nel processo L’Espresso- De Lorenzo, io ero favorevole alla trattativa con le BR per salvargli la vita, come lui suggeriva nelle lettere scritte nella prigione brigatista, indirizzate ai suoi compagni di partito. Una trattativa che venne sottoscritta tanto dai radicali che dai socialisti.
Andreotti, divenuto Presidente del Consiglio, aveva risposto che non era possibile allo Stato fare questo, dopo l’uccisione dei 5 della scorta. I comunisti, temendo di essere annoverati fra i violenti si schierarono dalla parte dello Stato, corrotto, per il partito della fermezza, contribuendo insieme alla DC a ristabilire la pena di morte, che la Costituzione aveva soppressa.
Kissinger, allora Segretario di stato americano, non aveva approvato la teoria di Moro della convergenze parallele con i comunisti italiani, dal momento che nell’Urss era al potere Brezniev e la guerra fredda era tutt’altro che finita. Non voleva un ruolo per il PCI. Si fidava invece di Andreotti, il quale adottò la stessa strategia di Moro col governo di solidarietà nazionale. L’Espresso titolava “ Andreotti super star!....”
Ma Berlinguer che votava tutte le sue contro-riforme rimanendo però fuori dal governo, ebbe a un certo punto il sospetto di essere stato turlupinato per ingenuità.
Repubblica sposò il partito della fermezza, senza chiedersi chi fossero veramente le famose BR, chi fosse Mario Moretti ( Per me era come Asev, nella Russia degli tzar, un agente dell’Ocrana e un finto terrorista) Era anche lui un terrorista e soprattutto un agente dei servizi, come dissi a Giorgio Bocca incontrato in casa Pietromarchi. Non mi rispose.
Oggi, con la testimonianza di un ex ispettore della Digos in pensione, Enrico Rossi, il processo è stato riaperto dal procuratore generale Ciampoli, il quale ha avuto la sensazione che finora non è stato fatto abbastanza per scoprire la verità: pare che il 16 marzo erano passati sulla Honda blù 2 agenti che spararono colpi di armi da fuoco, per impedire l’accesso di estranei. Sul luogo del rapimento, ( all’incrocio tra via Fani e via Stresa. Sul posto è stata accertata la presenza del colonnello Camillo Guglielmi, addestratore nella superstruttura operativa di Gladio. L’ispettore Rossi ritiene che i 2 agenti che spararono i colpi fossero agli ordini di Guglielmi. e lo ha detto ai P.M Capaldo e Palamara che lo hanno interrogato.
Del resto , caro Scalfari, anche il presidente Oscar L. Scalfaro di cui lei era buon amico, a proposito del delitto Moro si è detto convinto che la manovalanza erano i Br, ma i manovratori erano altri.
Lei era dalla parte di Andreotti, che oggi definisce inquietante, a metà fra il mandarino cinese e un cardinale del Settecento, coinvolto in decine di scandali, senza che si sia potuto veramente accertare la sua responsabilità, ad eccezione di quanto è accaduto dopo l’uccisione del suo sostenitore in Sicilia, Salvo Lima, che la mafia fece fuori perché non riusciva più a ottenere vantaggi per quelli che erano in prigione col 41 bis , dopo il maxi-processo, grazie alla procura di Palermo, guidata dal giudice Caselli
Con sentenza della cassazione Andreotti. fu riconosciuto in rapporti sistematici con la mafia fino al 1980, ma non venne condannato, grazie alla abilità del suo avvocato Giulia Buongiorno, che lo fece prescrivere Non riuscì a diventare presidente della Repubblica, ma rimase fino alla fine. senatore a vita. Dopo tutto si era fatto processare e non aveva mai insultato la magistratura, come invece ha sempre fatto Berlusconi
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Dopo la nazionalizzazione dell’industria elettrica si era determinata una grande fuga di capitali, e il ministro del Tesoro, Colombo, molto preoccupato, annullò la soppressione del segreto bancario e cancellò la programmazione economica.
Era il 1967.
Cefis all’Eni imperversa e punta al controllo della Bastogi ( allora era importante come fu dopo Mediobanca,) e della Montedison, l’industria elettro-chimica, per controllare tutta la finanza italiana.
Ma non poteva dirigere contemporaneamente l’Eni e la Montedison: fu costretto ad affidare l’Eni a Girotti, prima suo grande fedele, però poi molto critico nei suoi confronti per come aveva gestito l’Eni. Cefis aveva comprato anche giornali , il CDS e il Messaggero e in 10 anni lasciò Montedison in un mare di debiti.
Lei, nel 1974 insieme a Turani , scrisse per Feltrinelli un libro importantissimo “ Razza padrona”, con 70.000 copie vendute. Lo lessi con molto interesse
Su Berlinguer lei dice cose essenziali: negli anni Ottanta, finita la strategia del compromesso storico, dopo l’amara esperienza col governo di solidarietà nazionale guidato da Andreotti, Berlinguer mette al centro della sua azione la questione morale. Famosa la intervista su Repubblica di attacco a Craxi e alla DC che avevano occupato le istituzioni: sono perfettamente d’accordo con lei per tutta l’azione che il giornale ha condotto contro Craxi, essendo il craxismo il prologo del berlusconismo. Potere economico per avere più potere politico, e ruberie sul conto personale. .
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Nel 1975 ci fu un evento importante. Volevate cambiare il formato dell’Espresso e renderlo più simile all’Express francese, piccolo e a colori. Per fare questo occorrevano nuove rotative, diverse da quelle che avevate per il lenzuolo in bianco e nero. Occorrevano nuovi capitali.
La CIR di De Benedetti era entrata nel gruppo Espresso con nuovi fondi, ma volevate costituire insieme a Giorgio Mondadori e a Mario Formentor una nuova società , che avesse avuto 2 settimanali dalla linea simile ( Panorama, diretto da Lamberto Sechi e l’Espresso). Forte di questa nuova società, nel 1987 lei aveva immaginato un nuovo progetto importante: nel ’68-69 era nata Repubblica, un quotidiano in gara col Corriere della Sera, ora progettavate un grande quotidiano europeo di centro-sinistra, e avevate preso contatti con l’Indipendent, britannico, , col PaIs in Spagna e con un giornale tedesco.
Purtroppo dopo la morte improvvisa di Mario Formentor, Berlusconi convinse la sua famiglia a vendergli le della vostra società da lui possedute per estromettere Benedetti dalla Mondadori e impossessarsene.
Solo ora il Tribunale, che aveva dato ragione a Berlusconi, a quell’epoca, ha stabilito, 20 anni dopo, un risarcimento pecuniario a De Benedetti per questo furto.
Ma il gran peccato per noi cittadini è che sia venuto a mancare un giornale progressista europeo che avrebbe potuto trattare dei nostri problemi , dando voce a chi non ce l’aveva, per un Europa diversa: non quella delle nazioni, ma quella federale, equa e solidale. Grande è la responsabilità di Berlusconi se le cose sono andate storte.
CONCLUSIONE.
Nel suo editoriale sull’Espresso del 12 aprile lei scrive:
“Siamo dotati di un pensiero capace di guardare fuori di sé, di cogliere i mutamenti delle persone, (crescere, invecchiare, amare, odiare, vincere, perdere) ma certezze e verità non ce ne sono. Il viaggio deve continuare….
…L’osservatore è la mente, e se si dovesse guastare non è come un orologio: non può essere sostituito. Può perdere il suo ruolo per malattia o per disturbi mentali. Ma , anche se la mente non soffre di alcun disturbo, cambia, registra con diversa velocità e con un’altra sensibilità, rispetto a quella del corpo. Invecchia e cambia.
La nostra identità è in perenne oscillazione.”
Lei ha parlato a lungo della magistratura che non insabbia e continua a indagare, e della stampa che riflette e denuncia. Ma sarà forse perché la mente cambia, queste idee sul ruolo del giornalista si sono attenuate.
Come lettrice dell’Espresso da quando avevo 19 anni, non ho personalmente condiviso alcune sue valutazioni recenti su fatti politici nel nostro paese,
Ho scritto regolarmente sul mio blog quando non ero d’accordo con lei: per es. perché Napolitano non può essere criticato? E’ un uomo, e quindi, come tutti, può sbagliare. Perché sulla trattativa stato-mafia Repubblica si è espressa con dubbi e reticenze? (“la cosiddetta trattativa”)? Perché ha sostenuto che la conversazione telefonica Mancino-Napolitano doveva essere distrutta, pur essendo Mancino un soggetto indagato per falsa testimonianza?
Di Matteo rischia la vita, dopo le minacce di Riina, e Repubblica se ne accorge in ritardo e con fatica. Perché Pirani ha sostenuto l’accusa di vilipendio al Fatto Quotidiano, non d’accordo col Presidente? Perché lei ha criticato Barbara Spinelli, Rodotà, e Zagrebjelski per le loro posizioni ?
Rileggendo il suo racconto autobiografico mi è stato utile vedere tutti i punti di accordo totale, e di condivisione assoluta del suo percorso, pur riepilogando tutte le mie divergenze dalle sue posizioni, sia nel passato che negli ultimi tempi.
Come lei dice giustamente la Mente invecchia come invecchia il corpo.
A 90 anni lei è contento della sua vita, intensa, piena di soddisfazioni.: non tutti possono dirlo della propria. Quindi quello che le auguro è di non aver bisogno di auguri.
Con affettuosi saluti. Sinceramente.