domenica 29 luglio 2012

Lettera aperta ai Re della Repubblica (Giorgio Napolitano e Eugenio Scalfari)

Anche i re talvolta possono sbagliare, e di grosso!
Un servitore dello Stato, consigliere di Re Giorgio, Loris D’Ambrosio, è scomparso, stroncato dal dolore,  forse   a causa di un suo  grave sbaglio: non aver detto con franchezza a Nicola Mancino che il Quirinale non poteva interferire con le indagini della Procura di Palermo, perché non era scritto in nessun articolo della Costituzione. o del codice penale.
Aveva cercato di calmare le sue ansie dicendogli: “Stai tranquillo!... tanto questi non arriveranno a nulla”. Posizione davvero singolare la sua, che pure, come ha detto Maria Falcone, aveva collaborato con suo  fratello nel redigere tutti i più importanti testi giuridici anti-mafia, compreso quello sul 41 bis. Le critiche di cui era stato oggetto sulla stampa  lo avevano indotto a dare le dimissioni, che però il Presidente aveva rifiutato.
 Sono state le eccessive e ripetute insistenze di Mancino alla radice di questa tragedia, (di cui non hanno certo colpa  i giornalisti del Fatto Quotidiano, che hanno pubblicato il testo delle intercettazioni, ormai pubbliche, facendo domande scomode, adempiendo quindi  al loro dovere professionale).
Le preoccupazioni dell’ex senatore  sono cresciute a dismisura nel marzo-aprile 1912, quando il suo nome  era apparso di frequente nelle pagine dell’atto di  accusa della Procura di Caltanissetta, che aveva aperto dal 2002 un indagine “Borsellino quater”. per la strage di Via D’Amelio, le cui indagini erano state più volte vanificate  da confessioni divergenti dei boss finto-pentiti.
Le due procure siciliane erano ben coordinate fra loro, fin dal marzo 2011, una decisione presa dal CSM presieduto da Napolitano,  perché quell’evento era strettamente collegato alla trattativa mafia-Stato, che Paolo Borsellino  aveva rifiutato..  E questo  fu  il motivo del suo assassinio. Uomini delle istituzioni lo avevano tradito, e non si sa ancora chi sono.
Mancino temeva anche di essere messo a confronto con Martelli, che aveva  su tutta la vicenda pareri nettamente discordanti rispetto ai suoi.
Quindi Re Giorgio, nella sua veste di Capo del CSM, non aveva alcun bisogno di chiedere ulteriormente il coordinamento delle indagini in Sicilia, come del resto aveva detto anche  il Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso.

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Di trattative Stato-mafia non ce n’è una sola: la prima riguardava la mitigazione delle condizioni penitenziarie dei detenuti sottoposti all’articolo 41 bis, col carcere duro per i mafiosi non pentiti, nelle isole di Pianosa e dell’Asinara.
(un decreto voluto fortemente da Falcone e da Martelli, quando era  ministro della Giustizia nel governo Andreotti,) In cambio la Mafia, dopo aver assassinato Salvo Lima, nel marzo del 1992, avrebbe rinunciato ad altri delitti politici (erano nel mirino Calogero Mannino, oggi ancora in Parlamento,  e , naturalmente, lo stesso Claudio Martelli)
La ricostruzione di questa prima trattativa è oggi molto più chiara, secondo la pista individuata dal Procuratore nazionale antimafia fiorentino,Gabriele Chelazzi, prima di morire:: quella dei Cappelani delle Carceri che, nel ’93, in perfetta buona fede, avevano ritenuto che nelle condizioni prescritte dal ’41 bis mai i detenuti avrebbero potuto  ravvedersi  in futuro per una riabilitazione  nella vita civile, (come del resto prevede l’articolo  27 della Costituzione), visto che “i secondini  squadristi  li picchiavano regolarmente”.
 Questo era scritto in  alcune lettere dei familiari dei detenuti, molto dure, indirizzate al Presidente della Repubblica,  Oscar Luigi Scalfaro e ad alcuni alti prelati.
I Cappellani, tra l’attentato a Costanzo e quello in Via dei Georgofili,  avevano redatto  a Roma, fra il 17 e  il 20 maggio 1993 un documento per la soppressione del 41 bis, che consegnarono a Chelazzi.
Il risultato fu la caduta del Governo Andreotti  e nel nuovo governo di Giuliano Amato,   Martelli venne sostituito dal  ministro Conso alla Giustizia, mentre al Ministero degli Interni, guidato da Scotti, (ora  nominato Ministro degli Esteri,) veniva scelto Nicola Mancino.
 Con 3 conseguenze:
a) Conso soppresse per i mafiosi l’art. 41 bis, con una serie di decreti:  ha dichiarato  ai giornali  e alla Procura di Palermo di aver agito in solitudine, per evitare altri delitti e altre  stragi
b) Venne sostituito Nicolò Amato direttore dell’Amministrazione penitenziaria, che i mafiosi non volevano più nelle carceri. Troppo duro.
c) vennero chiuse le carceri di Pianosa e dell’Asinara, “troppo fredde d’inverno”
 Dopo l’assassinio di Salvo Lima, (marzo 1992),la mafia scelse un altro referente politico, il siciliano Dell’Utri, direttore di Publitalia, la società per la  pubblicità a Fininvest. Seguendo il  suo consiglio, Berlusconi, minacciato dalla mafia  negli averi e negli affetti (aveva mandato  i figli in America per evitare sequestri), prese ad Arcore, come protettore, un noto mafioso trafficante di droga, ultra indagato, Mangano: secondo Dell’Utri un  vero eroe,!...
Quindi nel ’93, sulle rovine politiche provocate dai processi di  Mani Pulite, nacque Forza Italia, e nel ’94 Berlusconi salì al potere...

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2) Analizziamo ora la posizione di un altro integerrimo servitore dello Stato, Antonio Ingroia, vice- procuratore capo  a Palermo, collaboratore di Falcone e Borsellino, che da 20 anni conduce le sue indagini sulla trattativa mafia-politica.  Più volte minacciato di morte, viene regolarmente coperto da una grandinata di insulti da parte della stampa padronale berlusconiana, alla quale si sono uniti oggi anche Galli della Loggia, sul Corriere della Sera e perfino, con nostro grande sconcerto, Eugenio Scalfari, allineato sulle posizioni di Giuliano Ferrara.
Premettiamo una breve analisi della situazione attuale  in Sicilia, tutt’altro che tranquilla, sia per la Procura che per i siciliani onesti.
a) Sul piano economico la Regione  è sull’orlo del default, come la Grecia. Lo ha segnalato Lo Bello, capo della Confindustria siciliana. Sono stati  sperperati soldi pubblici, e creati  posti di lavoro assistenziali nell’Amministrazione regionale, in assenza di fabbriche manifatturiere in chiusura (cfr Fiat a Termini Imerese) . I forestali  in Sicilia sono il triplo rispetto a quelli del Piemonte. Donne e giovani sono invece  senza lavoro.
b) Il Presidente della Regione Lombardo rinviato a giudizio  per associazione mafiosa, darà le dimissioni il 31 luglio e sarà processato a Catania in ottobre.
 Il governo dovrà intervenire con robusti tagli di spending review, sulle finanze allegre da lui adottate a fini clientelari.
c) L’Assemblea Regionale ha respinto la proposta di non nominare più come consulenti in Regione managers  indagati per collusioni mafiose, avanzata dal  presidente dell’Antimafia in Regione, Speziali.
La mafia resta quindi  nel Palazzo, a spese dei cittadini. Matteo Messina Denaro, ultimo grande boss ancora latitante, esercita tutto il suo business power sul territorio trapanese, ben protetto dalla zona grigia della borghesia mafiosa, come lo era stato Provenzano.
 Con la mafia in Sicilia  c’è connivenza e convivenza:  da sempre…

Una situazione quindi  non certo favorevole alla Procura di Palermo, dove Ingroia si proponeva due obiettivi:
a) combattere l’omertà dei grandi Big Boss mafiosi in galera sulla strategia stragista degli anni Novanta
b) Combattere la reticenza di uomini delle istituzioni che sulla trattativa non hanno ancora raccontato tutto quello che sanno.
Ingroia auspica un valido aiuto da parte del Parlamento: con 2 essenziali riforme:
a)         Sui collaboratori di giustizia
b)         Quella del 416 ter per rendere punibile il patto pre-elettorale mafia-politica.
Le riterrebbe utili per i cittadini elettori, sia alla vigilia delle elezioni  in Sicilia, il prossimo ottobre, sia in quelle nazionali politiche del 2013-
 Invece che cosa è accaduto? Per avere intercettato  un testimone reticente come Mancino, sospettato di falsa testimonianza, sorpreso a colloquio col povero D’Ambrosio  e  poi addirittura col Presidente della Repubblica, Ingroia, dopo 20 anni di splendido lavoro, è oggi vittima di una vera delegittimazione da parte del Quirinale, che ha contestato le sue procedure di indagine, “ritenendole lesive delle sue prerogative”, chiedendogli addirittura di distruggere i nastri registrati delle sue telefonate, (addirittura contravvenendo all’art. 268 del Codice di procedura penale, il quale stabilisce che sia un giudice terzo a decidere se e quando distruggerle).
Non solo, ma ha anche aperto un conflitto di attribuzione, ricorrendo alla Corte Costituzionale, per stabilire  chi ha ragione, il Colle o la Procura.
.Il Ministro Severino chiede invece di mantenere la segretezza delle registrazioni, in attesa del parere della Consulta, ma  non certo di distruggerle, mentre la Destra del PDL ritorna sulla legge delle intercettazioni.
Insomma proprio ora che Ingroia aveva concluso il suo lavoro, riuscendo per la prima volta a mettere sul banco degli imputati la mafia militare in galera, gli alti ufficiali dei carabinieri, e i politici, protagonisti della trattativa, tutta l’Italia giornalistica e politica si erge contro, come un muro  di corazzieri, riprendendo la delegittimazione dei magistrati che fu  ed è ancora  prerogativa di Berlusconi.
La cosa anomala è che  al vertice del CSM e del Colle ci sia la stessa persona, la quale, intercettata nel 2009 quando era in conversazione con Bertolaso, non aveva ritenuto a quell’epoca  di chiedere al Parlamento un provvedimento legislativo per integrare il codice penale, visto che attualmente nessuna norma  vieta ai magistrati di intercettare  un indagato a colloquio con il Presidente della Repubblica..

Conclusione:

A criticare le iniziative e le parole del Presidente  sono stati  vari autorevoli giuristi: Franco Cordero, (che lo accusa di essere addirittura tornato allo Statuto di Carlo Alberto, ancien régime), Stefano Rodotà, e addirittura Sartori, che gli rimprovera “un eccesso di amicizia per Mancino”.
Noi cittadini siamo sconcertati per il colossale abbaglio dei due Re della Repubblica, da noi molto stimati e rispettati. Eugenio Scalfari  ci ha  veramente sorpresi, lui,  giornalista in lotta dura con la Razza Padrona e con i politici corrotti
(tipo Bettino Craxi) : da  sempre  è stato un vero cane da guardia contro il potere, per informare noi cittadini  su  tutti gli abusi.
Non possiamo quindi non essere dalla parte di Antonio Ingroia, che è riuscito a far condannare Bruno Contrada, dei Servizi segreti, alla guida  militare del massacro di Capaci, un super magistrato oggi  costretto “a fare un passo di lato”, accettando l’invito dell’Onu, per utilizzare le sue competenze nella lotta al narcotraffico in America centrale.
Ricordo di averlo incontrato a Torino, nel 2002, al Salone del Libro, dove presentava, insieme a Caselli e a Marco Travaglio  “La trattativa”,(Roma,Editori Riuniti), una ricerca di Maurizio Torrealta, campione del giornalismo d’inchiesta di Rai 3,  che  aveva  documentato  gli eventi tra il 1992 e il 2002, riportando tutte le testimonianze nei processi dei boss pentiti, dei falso-pentiti, in  ordine cronologico, fino alla messa in  atto del Borsellino quater alla Procura di Caltanissetta.
Intervistato da Torrealta all’inizio del volume, Ingroia aveva detto una cosa storicamente molto importante: se alla fine della guerra la mafia aveva operato in funzione anti comunista, intervenendo con la polizia di stato a Portella della Ginestra, contro i contadini che occupavano le terre incolte, dopo la caduta del Muro di Berlino nell’89 aveva perso la sua funzione di braccio armato della DC, che   venne punita  alle elezioni del 1991,per non essere riuscita a bloccare il maxi- processo dell’87.
E, avendo la Cassazione confermato tutte quelle  sentenze, nel ’92, venne ucciso  Salvo Lima, loro intermediario con la corrente andreottiana.
Da li cominciò il dialogo con lo Stato, a suon di bombe, prima di tutto con la strage di Capaci, (non senza aver prima ampiamente delegittimato Falcone,) e poi con quella di Borsellino..
Nella “Trattativa” di Torrealta si parla delle dichiarazioni del  boss pentito, Mutolo, il quale aveva segnalato al  magistrato le collusioni   mafiose  di Bruno Contrada, agente dei servizi segreti  e del giudice Signorino.
Il  colloquio  venne interrotto al momento del cambiamento del Ministro degli Interni, perché Borsellino  partì per incontrarlo al Viminale a Roma.
 Al suo ritorno  aveva chiesto a Mutolo di mettere  a verbale le sue dichiarazioni, cosa che  rifiutò di fare, per paura di essere ucciso. Secondo la sua testimonianza, Borsellino era molto nervoso. Al Viminale  non era riuscito a parlare col  nuovo Ministro Mancino,  ma aveva incontrato il capo della polizia Parisi e Bruno Contrada, ambedue  già al corrente del fatto che Mutolo stava rilasciando dichiarazioni importanti: cosa  che non avrebbero  dovuto  sapere.
 A Mutolo non accadde nulla, ma  il 19 luglio, 2 giorni  dopo il suo rientro a Palermo, fu Borsellino a saltare in aria   in Via D’Amelio: avevano intercettato una sua telefonata alla madre, manipolando le linee telefoniche dell’edificio in cui viveva.
Non possiamo oggi  non essere dalla parte della splendida famiglia  del magistrato, di sua moglie Agnese, che aveva ascoltato tutti i sospetti del marito,
di  suo fratello Salvatore, che si batte per sapere chi ha rubato  la  sua famosa agenda rossa, sottratta  dalla macchina il 19 luglio del ’92.
Quindi approviamo la sua richiesta  alla Procura di Caltanissetta di acquisire i nastri registrati delle telefonate tra Napolitano e Mancino, prima che vengano segretate, come ha chiesto ilMinistro Severino.
 Siamo dalla parte di Rita, europarlamentare, splendida persona, che ha dichiarato di sentirsi schiaffeggiata da questa  grave iniziativa del Presidente, completamente inattesa,  nei confronti di una procura  anti mafia, impegnata da 20 anni nella  ricerca della verità.
                                  ***
Ora che il magistrato D’Ambrosio è deceduto, stroncato dalle  vicende dei giorni scorsi, credo che Mancino debba  assumersi le proprie responsabilità e chiedere scusa per aver messo  due persone perbene in gravi difficoltà, con le sue ripetute richieste di intervento. Si faccia processare tranquillamente: esiste  sempre la presunzione di innocenza, fino a quando non sarà assolto o condannato.

E pensiamo  che Re Giorgio dovrebbe accettare l’invito di Salvatore Borsellino a rendere pubblico il contenuto delle telefonate registrate, per meglio  puntellare la funzione essenziale  del Colle: “quella di essere il centro di equilibrio del sistema”. La trasparenza è il miglior modo di garantire un’istituzione.
Il Processo Dell’Utri ripartirà dalla Corte di Appello, perché i suoi reati sono provati fino al ’77.
I familiari delle vittime delle stragi reclamano giustizia e verità. E anche noi cittadini vogliamo sapere che cosa sia realmente accaduto. Troppi sono stati i morti nella nostra storia.
Perciò diciamo: caro Ingroia, buon lavoro in Guatemala, ma torni presto perché abbiamo tanto bisogno di gente come Lei.

domenica 15 luglio 2012

Anticristianesimo e libertà: Studi sull’ Illuminismo radicale europeo


E’ il titolo di un’interessantissima raccolta di saggi  che Silvia Berti  ha pubblicato quest’anno per la Società il Mulino, a Bologna.

“La Chiesa è nello Stato: prima di essere cristiani siamo cittadini”.

E’ la frase chiave pronunciata da César Chesnau Du Marsais, convinto sostenitore della Chiesa Gallicana anti-papale. Filosofo, libero pensatore, frequentatore del caffè Procope, ( il caffè aperto  a Parigi, da Procopio dei Coltelli, gelataio di Acitrezza), amico di D’Alembert che  alla sua morte   scrisse un “ Eloge”, per illustrare il merito di tutti i suoi scritti.

Mi sono chiesta : sarebbe possibile nell’Italia del 2013 un’affermazione del genere, quando siamo costretti, dal 1929,  a vivere in condominio con una Chiesa cattolica, sempre più arrogante, esentasse, che interferisce pesantemente sulla  legislazione concernente la vita privata dei cittadini italiani,  e che, attraverso la sua banca lo IOR, consente a politici e imprenditori di evadere il fisco con  intrallazzi vari,  tramite  i nostri istituti di credito, arrivando fino a riciclare capitali mafiosi?

Decisamente Du Marsais aveva detto la cosa giusta, e a lui è dedicato uno dei capitoli di questo libro.

Autore di una “Exposition de la doctrine Gallicane, par rapport aux prétensions de la Cour de Rome”, aveva dato  battaglia contro i Gesuiti, che, attraverso uno di loro,  padre  Le Tellier,  confessore di Luigi XIV°, avevano indotto il Re Sole  ad abbandonare il suo convinto sostegno  iniziale alla Chiesa Gallicana, stimolandolo anche   a due azioni nefaste per il paese:

a) la revoca dell’editto di Nantes, (1685), (concesso da Enrico IV°  (1598), per sancire la pace e la tolleranza fra cattolici e Ugonotti, dopo 30 anni di guerre.)

Saint Simon  non avrebbe perdonato al re di aver  allontanato  dal paese  800.000 ugonotti  in cerca di terre più libere, loro, perno vitale dell’economia francese!

b) Inoltre, grazie alla  bolla Unigetus, lo  avevano poi  spinto a distruggere l’Abbazia di Port-Royal, e ad incarcerare  tutti i suoi frequentatori (1709), con un autodafé dei libri della biblioteca : un’azione decisa al tavolino fra il padre  Le Tellier e il re, “bec à bec, entre deux bougies”, come efficacemente  racconta lo stesso  Saint Simon  nelle sue Memorie.

 Le famose  “Lettres provinciales” di Blaise Pascal  erano state un monumento di rigore e di ironia nei confronti dei Gesuiti, che da tempo, quindi, maturavano una vendetta.

 Due azioni non condivise da  altri esponenti  della aristocrazia : Montesquieu, nelle sue “Lettres persanes” si rallegrerà perché dopo la morte del re, la Cabale des dévots aveva perso parte del suo potere, e  il Reggente, Philippe d’Orléans,  aveva fatto scarcerare i giansenisti,  puntello culturale importantissimo per il paese. 

La lotta politica e religiosa si avvarrà di altre importanti personalità che  avevano rimesso in discussione la sacralità del potere della monarchia assoluta, come  il conte  Henry de Boulainvilliers, un appassionato lettore di  Spinoza, uno dei tanti ebrei cacciati da Spagna e Portogallo dopo l’avvento di Isabella la Cattolica, giunto felicemente in terra d’Olanda, autore dell’Etica, pubblicata postuma,  (1677) e del Tractatus  théologico- politicus (1663.)

 Spinoza era un ebreo  del Libero esame, contagiato dalle teorie luterano-protestanti, e aveva proposto una   severa esegesi  critica  della Bibbia.

In Spagna  molti altri ebrei della diaspora,  costretti a convertirsi al cattolicesimo per 8 generazioni per poter sopravvivere in pace, si erano poi  distaccati dalla rigidità del  culto ortodosso rabbinico, restando legati ad un ebraismo interiore, aperti anche ad altre matrici culturali. ( Spinoza venne molto influenzato dal suo maestro di latino di Spinoza,  libero pensatore, Van Den Enden) .

Tornando al saggio di Silvia Berti,  Boulainvilliers,  nel suo “Traité de métaphisique”(1712),    riprendeva la critica spinoziana della sacralità del potere, sostenendo che il re era, in origine, un guerriero, “primus inter pares”, e riprendendo i postulati dell’Etica spinoziana, andava fino a negare a Dio di aver creato il mondo, essendo Dio della stessa sostanza della materia estesa. (Deus, sive natura)

La critica della sacralità del potere sarà perfettamente condivisa da Montesquieux, nella prospettiva di una riforma all’inglese della Monarchia in Francia, con la separazione dei poteri,  e con un’autorità accresciuta del Parlamento.



                                  ***



Molto interessante è il primo dei saggi  nel volume. “ Le origini dell’incredulità”, in dibattito con Alan Kors, Silvia Berti precisa  quanto importanti fossero i dissensi  all’interno dei recinti dell’ortodossia religiosa, “come risultato delle controversie fra diverse scuole filosofiche cristiane”(p.5)

“Lo spettacolo offerto dall’alleanza fra la Chiesa di Roma e il potere assoluto della Monarchia, persecutrice di ugonotti e giansenisti, finì col determinare nella generazione successiva, la “crise de la conscience européenne”, contro l’establishment ecclesiastico, la corruzione dei preti, accompagnandosi poi,” in termini teologici, alla negazione della Trinità e della divinità di Cristo”, pur  convivendo con  un apprezzamento del cristianesimo primitivo  e del Cristo legislatore, venuto in terra  per restituire l’uomo allo stato di natura originario”( p.14). 

In epoca di Inquisizione “ gli eretici nicodemisti e altri,   per non essere condannati,  furono costretti ad adottare in tutta Europa  un linguaggio criptico, a dissimulare il loro pensiero, facendolo apparire  “solo tra le righe”, Questo  accadeva a metà Cinquecento, e a maggior ragione  subito dopo il Concilio di Trento (1564)

 (cfr. in proposito  le opere di Delio Cantimori e Carlo Ginzburg), mentre in alcuni casi, nella Napoli del Seicento, la dissimulazione  assunse il carattere di un’opposizione politica contro gli spagnoli.(R.Villari)

Simulazione e dissimulazione caratterizzavano  anche il fenomeno del cripto-giudaismo, a fronte delle conversioni forzate,  sia in Spagna che in Portogallo (1536), dove l’assunzione della maschera cristiana salvava la vita ma  obbligava a ridefinire  l’ebraicità, in assenza di un luogo di culto: la  sinagoga.

Mentre fu ad Amsterdam che “gli Stati generali d’Olanda autorizzarono gli ebrei a praticare liberamente la loro religione”, costruendo una nuova sinagoga accanto alla più antica.(come avvenne del resto anche a Ferrara, sotto gli Estensi)

Ma, rispetto a queste pratiche la vera frattura è rappresentata dall’affermazione di Spinoza,  secondo il quale, contro la Legge scritta,  Dio era soprattutto filosofico. Il suo no alla verità rivelata e alla creazione del mondo, la negazione dell’immortalità dell’anima,  costituì lo spartiacque  che determinò, 20 anni dopo la sua morte (1677),  la crisi della Coscienza europea.

Quindi  ad Amsterdam  si ebbe  una frattura fra rabbini, rigidamente ortodossi ed  ebrei  eretici, liberi pensatori, multiculturali, come Spinoza,  che   doveva provocare  il 27 luglio 1656  uno “cherem”, una sua ’espulsione dalla comunità ebraica,( (27 luglio 1656), “a causa delle abominevoli eresie da lui praticate.”  L’atto era probabilmente dovuto alla paura delle possibili reazioni  negative da parte dei calvinisti, perché lo avrebbero sicuramente imputato di ateismo.

  Averroè e la cultura laica della corte di Federico II° a Palermo dovettero probabilmente influenzare Spinoza, mentre la corrente di pensiero libertina avrebbe adottato   tracce di cultura Alessandrina, soprattutto  attraverso gli scritti di Celsio,  che fu molto critico del Mago-miracolista Gesù.

Ma quello che avrebbe determinato la vera frattura  nella storia del pensiero nel Settecento e dato l’avvio al diritto di esercitare la filosofia, senza l’intromissione dei teologi,  fu la pubblicazione del Traité des 3 Imposteurs, pubblicato all’Aia, da Charles Levier, con il titolo   La Vie e l’Esprit de Spinosa,  (1719), ad opera di Jean Maximilien Lucas, suo biografo.  (p.93)

La Vie de Spinosa era stata redatta nel 1678 da Lucas, giornalista francese  che aveva pubblicato sulla Quintessence una violenta campagna contro il potere del re Sole. “La seconda parte del libro, “l’Esprit de Spinoza, noto come Trattato dei 3 impostori, fu il manoscritto clandestino più diffuso in tutto il Settecento, e considerato uno dei documenti intellettuali più importanti della storia del primo spinozismo”(p.94)

Si tratta di un documento di radicalità estrema, scritto con linguaggio tagliente.

 “Rinunciando al lume della ragione gli uomini si legarono a un culto superstizioso…”ed è da siffatti sacri legami, nati dalla paura, che nasce questa parola: religione.” …                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      “Su queste basi, prima Mosè attraverso un ‘investitura divina, legittimò la sua missione di legislatore, poi Gesù Cristo attirò a sé le genti con una speranza di vita futura, e i cristiani lo credettero Dio, benché avesse una natura umana. Infine Maometto, perfezionando l’impostura, si disse profeta di tutte le nazioni, venuto a portare la vera legge di Dio, corrotta dagli ebrei e dai cristiani”(p.95)

Furono stampate pochissime copie di quest’edizione del 1719, che scomparvero rapidamente, e solo di recente ne è stata ritrovata una copia nella Biblioteca Universitaria di Halle, rimasta a lungo sconosciuta, a differenza della copia  scoperta da Silvia Berti nel 1985  nella Young Research  Library di Los Angeles, che successivamente  ne ha curato in italiano l’edizione critica: La vita  e lo spirito del signor Benedetto  Spinoza e del trattato dei Tre impostori, ( Einaudi, Torino  1994).

Per portare un attacco all’establishment sia religioso che politico il testo rinunciava al  rigore filosofico, per approdare a un materialismo grossolano.

Ben altra sarebbe stata la caratura logico-filosofica dell’ateismo materialistico  nel pensiero di  Bayle, di Diderot e di altri illuministi. 
                                                                                  ***
Particolarmente affascinante per la qualità libraria del volume la riproduzione anastatica  delle incisioni di Bernard Picart, di grande qualità artistica, ritrovate da Silvia Berti alla Biblioteca  Nazionale di Parigi, che illustravano la prima opera  di antropologia comparata religiosa, una vera sfida per mettere in discussione quello che si riteneva essere  il primato del Cristianesimo: “Cérémonies  et cultures religieuses de tous les peuples du monde”.

Una di queste incisioni,  di particolare valore documentaristico e storico, rappresenta l’incendio dell’Abbazia di Port Royal, con l’autodafé dei libri della Biblioteca e le monache, trascinate via in catene.

Picart,  è anche autore di una biografia di Descartes ( le cui opere erano già state messe all’indice a Roma) e gli  dedica una serie di ritratti, incisi su rame di grande qualità. Insomma un artista libero pensatore.                              

Molto significativo  poi il saggio sul conte  Alberto Radicati di Passerano, nobile piemontese che Gobetti doveva definire il primo illuminista italiano.

Aveva cercato di stimolare il Re Vittorio Amedeo II° di Savoia a realizzare  una vasta opera di riforme importanti per il Piemonte, senza riuscirci.

Rivendicava tra l’altro, in nome della libertà personale, il diritto di mettere fine alla propria vita, qualora le condizioni oggettive non  ne consentissero  una qualità moralmente soddisfacente. 

Conclusione: 

Ricordiamo la battaglia condotta dal Partito popolare Europeo nel Parlamento  di Strasburgo per rivendicare nel Prologo della Costituzione Europea le origini cristiane  del vecchio Continente, una battaglia perduta, respinta a grande maggioranza.

  Riteniamo allora  di grande valore conoscitivo i risultati delle ricerche di Silvia Berti,  volte a mostrare la grande battaglia  per la libertà di pensiero in Europa,  tra il 1680 e il 1720, per affrancare  gli uomini dall’ignoranza, dalla superstizione e dagli arbitri del potere autocratico ed ecclesiastico.

Un faro di luce sulla nascita del Dubbio, in materia di ortodossia, tanto sul piano religioso che su quello politico, vero motore del più maturo movimento illuministico.

 In Italia  abbiamo  inserito nella gloriosa Costituzione  nata dalla Resistenza il Concordato fascista del 1929, fra Stato e Chiesa, rinnovandolo poi nel 1984, grazie a Bettino Craxi,  e il condominio obbligato con questa multinazionale potentissima   ci relega in una condizione pesante  di subalternità, politica e culturale.

 E’ solidamente appoggiata su 2 potentissime lobby, l’Opus Dei e Comunione e Liberazione,  che costruiscono  efficaci  catene di relazioni nel mondo della finanza,  e costruiscono solide carriere politiche,  esercitando  poteri di veto sull’attività legislativa del Parlamento. A destra e a sinistra.

La  strada  da fare rimane ancora lunga e tutta in salita e potremo percorrerla solo insieme a  cattolici adulti che si ricorderanno di essere “cittadini, prima ancora di essere cristiani”, per poter  ottenere quei vantaggi giuridici di cui godono per la propria vita privata gli altri  europei, facendo pagare al Vaticano il costo dei suoi privilegi, nell’istruzione, nella sanità, nella  esenzione fiscale.

Al Cern di Ginevra  il Bosone di Higgs, scoperto dopo lunghi anni di faticosa e paziente ricerca, (non solo dello scienziato inglese ma anche  dei nostri giovani fisici italiani),  non ha bisogno di Dio, ma di ulteriori approfondimenti sulla materia oscura, ancora ben lontana dall’essere esplorata, come del resto  i tanti misteri che, dall’Unità in poi,  hanno scaglionato  e continuano a scaglionare la storia del nostro paese.

lunedì 2 luglio 2012

Crisi, rinascita, ricostruzione. Giuseppe di Vittorio e il piano del lavoro (1949-50) (Ed Donzelli, Roma, 2012)


Questo libro, pubblicato da Silvia Berti, docente di storia all'Università della Sapienza, e nipote di Giuseppe di Vittorio, mi è parso di grande attualità e meritevole di essere segnalato  all'attenzione di tutti i lettori, oggi coinvolti nella peggiore delle crisi attraversata dal nostro paese, dalla fine della guerra .
La CGIL fra il 1943 e il ‘48 era stato un sindacato unitario, che si avvaleva di tutte le componenti della Resistenza in  lotta  contro  fascismo : comunisti, socialisti e  cattolici, riuniti in assemblea Costituente. Tutti avevano firmato il Patto di Roma. (3 giugno 1944).
Comunque  erano già apparsi segni di differenziazione fra comunisti e cattolici, perché se Di Vittorio aveva proposto la Federazione agricola dei braccianti, De Gasperi in una lettera a Don Sturzo del 1944  aveva manifestato l’importanza di  costituire una federazione dei piccoli proprietari coltivatori diretti, associazione che sarebbe nata 7 mesi dopo, un supporto importante  per la sua futura riforma agraria.
(Gianfranco A. Bianchi –Storia dei sindacati in Italia, editori riuniti, Roma, 1984, pp. 24)
Nel gennaio 1944 , durante  gli incontri per il Patto di Roma tutti i dirigenti democristiani  stabilirono che lo sciopero doveva essere funzionale solo ai contratti di lavoro, essendo nettamente contrari ai principi della lotta di classe,
L’8 giugno 1944  nel Convento alla Minerva nascevano le Acli (Associazione cattolica dei lavoratori italiani) per merito di Mario Scelba,  Erano un’emanazione diretta dell’Azione Cattolica (ibidem, pag.31)
Tuttavia  essendo l’Italia sotto la tutela anglo-americana il 24 agosto 1944 era giunta una delegazione di sindacalisti americani, capeggiati da Luigi Antonini ((Italian American Labor Council), che avrebbe avuto  un gran ruolo più tardi, nel 1948, nella spaccatura del sindacato.. (ibidem, p.34)
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Il frutto migliore di quel periodo fu la stesura della Costituzione , con gli articoli 39 e 40,  che, si opponevano radicalmente alla pratica  repressiva consolidata del vecchio regime,  ma che purtroppo contenevano un margine di ambiguità rinviando a un approfondimento normativo che nella Carta non c’era, sia in materia di contratti collettivi che  sulle regole  per  la libertà di sciopero. -

La situazione sarebbe purtroppo  radicalmente cambiata e avrebbe duramente risentito dei cambiamenti politici intervenuti dal ’47 sul piano internazionale, (dopo la morte di Rosewelt , e  il colpo di stato dell’Urss  a Praga)  e sul piano nazionale, con la scissione dei socialdemocratici di Saragat dai socialisti  frontisti di Nenni, (maggio 1947, a palazzo Barberini)  aggravandosi ulteriormente dopo le elezioni dell’aprile del ’48, con la sconfitta del fronte unitario social-comunista, e la vittoria schiacciante  della  DC, con i suoi alleati laici .

La Cgil era ancora un sindacato cinghia di trasmissione del Pci, che suggeriva  di politicizzare le rivendicazioni economiche dei lavoratori, ma  condivideva  il senso di responsabilità di Di Vittorio, che, in nome della durissima situazione del paese nell’immediato dopoguerra,  escludeva la rivendicazione salariale egoista, e proponeva  nel  memoriale di rivendicazioni presentato al governo Bonomi (9 agosto 1944),  la rinuncia  a chieder un aumento generale dei salari, pur chiedendo al governo il controllo dei prezzi, e grandi lavori di utilità pubblica e privata, da finanziare con una tassa straordinaria sui profitti di guerra
(G.Bianchi, op.cit, p.40)

Il blocco politico moderato di centro-destra  si avvaleva ancora  degli apparati pubblici e della burocrazia, uscita relativamente intatta dal fascismo, e sul  piano giuridico  i due articoli della Costituzione dovevano convivere ancora a lungo  con la normativa fascista :  il  codice  penale Rocco del 1931 e  l’ordinamento giudiziario del 1941.
Entrambi   furono all’origine di due circolari emesse dal Ministro degli Interni   Mario Scelba , una del sett.’47 e l’altra del sett.’48, a seguito dell’attentato a Palmiro Togliatti .
(U.Romagnoli-T.Treu- I sindacati in Italia: Storia di una strategia (1945-76),  Il Mulino , Bologna 1977, pp 24-30)
Quando il 14 luglio 1948 ci fu l’attentato di Pallante  a Togliatti  la CGIL venne accusata di voler organizzare uno sciopero insurrezionale contro i risultati elettorali del 18 aprile, e in base alla circolare Scelba, i prefetti fecero arrestare migliaia di  manifestanti  indignati dall’evento, lasciando anche  morti sul terreno.
Tuttavia  nel ’49 nel corso delle lotte per il rinnovamento dei contratti.  gli scioperi continuarono in modo intensivo, sia al Nord che nelle campagne al Sud , mentre il Ministero degli Interni continuava a scatenare la repressione nelle piazze, (16 morti e 206 feriti, come disse lo stesso Scelba in Parlamento.)
Iniziò così il graduale indebolimento del potere sindacale  della CGIL , e le commissioni interne rimasero senza alcun  potere contrattuale, grazie all’azione durissima del grande padronato.
La Fiom aveva nel ’50   80.000 iscritti, ma nel ’55, dopo la perdita delle elezioni nelle commissioni interne,  dal 63%  divenne  un sindacato minoritario al 37%.
 L’errore grave della sinistra  negli anni ‘50 fu di credere  che il rapporto Stato-sindacato fosse governabile, mentre evidentemente non lo era più.  Lo Stato non era neutrale e garante della ridistribuzione del potere, fra industriali, agrari e lavoratori.
I prefetti erano ostili ai comizi che si tenevano in fabbrica, alla loro occupazione, al volantinaggio e perfino  all’uso degli altoparlanti che annunciavano lo sciopero,  adottando una disciplina normativa estremamente restrittiva , che doveva durare fino al 1959.
Se fino al ‘50 i licenziamenti venivano fatti per convertire un’industria bellica in industria di pace, successivamente vennero fatti  individualmente, per discriminare politicamente i lavoratori della Fiom e della CGIL,  ripristinando  il terrorismo padronale di marca fascista.
Bisogna ricordare  che dopo la vittoria politica del’48 sia gli americani che il Vaticano volevano un 18  aprile ’48 anche sindacale:. Dopo il congresso delle Acli  nel settembre del  1949 in S.Giovanni Laterano, al quale parteciparono Fanfani (min. del lavoro)  Taviani e Rumor,  venne adottata  in un’ottica di conciliazione  interclassista  la preferenza per la contrattazione aziendale, in uno spirito di collaborazione per una maggiore produttività dell’impresa. (gli aumenti salariali ,certo, ma solo se cresceva  la  produttività) . Era la linea difesa da Joseph la Palombara che, nel quadro del piano Marshall, auspicava federazioni libere.
 Pertanto ci fu una scissione della Libera CGIL, che poi divenne la Cisl,
il cui statuto precisava la necessità della totale autonomia dei sindacalisti nei confronti dei partiti in Italia),  a differenza della CGIL che restava legata al PCI .
Il I° maggio 1948  durante la festa del lavoro,  Pastore e i cattolici lasciarono il palco, per avviare la spaccatura sindacale, preconizzata tanto dalle  Acli  che dal segretario di Stato americano Marshall 
( G. Bianchi, op.cit., p.84-87).
Si determinò un’asprezza concorrenziale fra i 3 sindacati, che vide una drastica riduzione di iscritti della CGIL alla Fiat, dove Valletta aveva inaugurato una linea dura,  col rinvio sistematico della firma dei contratti collettivi, ad aumenti salariali modesti, escludendo di assumere  operai sospetti,  con netta preferenza a chi veniva raccomandato dagli oratori parrocchiani, (come accertò un’inchiesta dello storico Giampiero Carocci,  pubblicata su Nuovi Argomenti, alcuni anni dopo (giugno 1958)
 Vennero elargiti  inoltre dai sindacati Usa AFL e CIO  finanziamenti per 2 milioni di dollari alla Cisl e alla Uil,  per particolare interessamento di Irving Brown ( il cui nome doveva figurare nel Who is who  degli agenti  della CIA), mentre la CGIL restava in bolletta, e contava sulle piazze anche i suoi morti.
(S.Turone, Storia del sindacato in Italia 1943/1980. Bari, Laterza, 1981, p.152-153)
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 Questo era il clima nel quale al congresso della CGIL a Genova  nell’ott. del ’49, venne annunciata la svolta politica, che sarebbe stata formulata integralmente a Roma, nel febbraio del1950, in occasione della Conferenza nazionale della CGIL, con la collaborazione di 4 tecnici, tra cui gli economisti  Sylos Labini e  Federico Caffè.
  Di Vittorio doveva cambiare strategia, per uscire dall’impasse in cui il sindacato  era  stato cacciato, e a suggerirgli il cambio di passo, dovevano essere 3 uomini del Partito d’azione.
 Vittorio Foa, dell’ufficio studi della CGIl, a cui era stato affidato il coordinamento del Piano del lavoro, Riccardo Lombardi, passato al PSI, che glielo aveva  suggerito, “per uscire dalla linea rivendicativa del giorno per giorno  e darsi un programma di ampio respiro” (cfr. S.Turone, op.cit. p.186), e infine  Ernesto Rossi, del gruppo di Unità popolare  (grazie al quale  doveva fallire  il piano DC per la legge maggioritaria, detta legge truffa, il 7 giugno 1953) e  che, con i liberali de “Il Mondo”  si sarebbe battuto  appassionatamente  per la nazionalizzazione dell’industria elettrica, fino alla vittoria del  1962, con il governo di centro-sinistra.

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Per tornare al libro  di cui al titolo , esso è strutturato in 2 parti:
a) la prima una tavola rotonda storica, che intende situare il documento nel contesto in cui era maturato,  con  la partecipazione di professori universitari,  storici del sindacato,  come Piero, Craveri, Giuseppe Berta, Luigi  Masella, professore all’Un. Di Bari,  e Vito A,  Leuzzi, direttore dell’Ipsaic, che ha messo in evidenza la  particolare attenzione alla  rinascita della scuola e all’educazione civica,  nel disegno riformistico del Piano CGIL.

b) la seconda che vuole ricostruire l’attualità del documento, per le politiche necessarie in tempo di crisi, con l’intervento del Ministro Fabrizio Barca, nell’ottica  di una strategia dello sviluppo, a medio e lungo termine, di natura europea, con la partecipazione del giurista  Marco Barbieri,  di Marco Magnani, capo servizio statistiche di BANKITALIA,  e soprattutto di Renato Soru. Presidente e a.d di Tiscali.)
In appendice viene ripubblicato il documento originale, Piano per il lavoro già  edito da Laterza, presentato alla Conferenza economica nazionale della CGIl nel febbraio 1950, a Roma., con una relazione introduttiva di Giuseppe Di Vittorio.
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Questo documento non trovò  interlocutori validi sul piano politico, “  pur essendo,-  secondo Vittorio Foa e Bruno Trentin, ”il primo tentativo organico del sindacato di formulare linee di politica di sviluppo per investimenti produttivi su scala settoriale e regionale, con alcune riforme strutturali, in agricoltura e nel settore energetico (la nazionalizzazione dell’industria elettrica”)
(“Lavoratori e sindacati di fronte alle trasformazioni del processo produttivo”, Feltrinelli, Milano, 1962.)
                                 
Mi sembra opportuno cominciare con l’analisi testo,  “scaturito con l’aiuto prezioso dell’Ufficio Studi della CGIL”, dice Di Vittorio, guidato da  Vittorio Foa, il quale, come dice Leuzzi, (op.cit. p.44) lo aveva giudicato  “ il politico più raffinato, perché capace di superare l’immediatezza rivendicativa e affondare  lo sguardo nei tempi lunghi…Aggiungendo:
Credo di dover riconoscere in quell’uomo il mio solo maestro di politica”(V.Foa- Questo Novecento, -Einaudi, Torino 1996)

Nella sua relazione introduttiva Di Vittorio proponeva di affrontare i problemi economici nazionali”con una politica economica unitaria, più organica, per dare l’avvio alla macchina ferma della nostra economia”.
 Al piano- diceva-  hanno collaborato tutte le nostre Camere del lavoro, per conoscere e discutere i problemi locali insoluti, svolgendo le loro inchieste in tutti i comuni della provincia, indipendentemente dal loro colore politico, fornendo una ricca messe di dati.
 L’obiettivo è di individuare “quali investimenti siano necessari per aumentare la produzione e il reddito nazionale”. …
Hanno quindi elaborato dei piani regionali, che possono considerarsi parte costitutiva del Piano nazionale”.
(Oggi la nuova associazione A.L.B.A  (Alleanza per il lavoro  i beni comuni e l’ambiente) adotta lo stesso metodo, con l’individuare sul territorio le necessità progettuali, per inserirle poi  in una strategia nazionale. (Il suo prossimo incontro si svolge a Parma il 30 giugno e il 1° luglio)

  II° Appare molto interessante la critica mossa  da Di Vittorio alla politica economica del Governo, da lui definita “ la politica della lesina”, della compressione delle spese e del risanamento del bilancio, come fatto determinante  di tutta la vita economica del paese, “caratterizzata  da depressione produttiva, disoccupazione enorme in crescita permanente, bassi salari,…impoverimento del mercato, depauperamento dei ceti medi produttori.( Op.cit. p.99)

Se vogliamo leggere il passato con riferimento al nostro presente, come propone il Ministro Barca, non possiamo non  ritrovare in queste parole la critica espressa da molti italiani  alla politica recessiva del governo Monti, perché forse non è stata la migliore decisione l’aver messo al primo posto nella vita economica del paese il risanamento del debito al 2013,  in un periodo evidente di decrescita economica, su esplicita richiesta merkeliana.  I tempi  avrebbero dovuto essere più lunghi, in funzione di un aumento del P.i.l. grazie a una politica dello sviluppo.

 Disoccupazione
“ La disoccupazione in constante aggravamento:   2 milioni di disoccupati permanenti fra il 1947 e il 1949.- diceva Di Vittorio.
 A questo dobbiamo aggiungere un milione e mezzo di braccianti agricoli che lavorano saltuariamente alcuni giorni al mese.
(Oggi in Italia essa è ancora più grave, poiché  riguarda il 10% della popolazione.)


 Descrivendo poi le condizioni di vita nelle campagne- Di Vittorio aggiungeva:
 “ Il paese non produce il fabbisogno necessario alla sua alimentazione, importando dall’estero il 30% del fabbisogno granario, ha un regime delle acque non regolamentato, per cui l’agricoltura è soggetta ad alluvioni  che distruggono vite umane, e mentre milioni di ettari di terra non sono bonificati, altri non sono irrigati, e milioni di lavoratori invocano come una grazia di andare a lavorare per dissodare e fecondare terre, suscettibili di trasformazioni fondiarie.”

 (A questo proposito si ricorda il famoso sciopero alla rovescia, quando centinaia di contadini invasero il  territorio del lago prosciugato  del Fucino, per lavorare le terre incolte dei latifondi Torlonia , pretendendo poi di essere pagati per il lavoro svolto. 
Ci furono scontri sanguinosi . Sul terreno i poliziotti di Scelba  lasciarono 2 morti, ma  grazie a un accordo sindacale tra Di Vittorio e Segni, ministro dell’agricoltura, i Torlonia pagarono   per quel lavoro 14 milioni di lit.  (3 marzo 1950)
 Dalla fine della guerra il bilancio luttuoso delle guerre contadine fu di 84 morti
(S.Turone, op.cit.p.173 e 175.)

Le retribuzioni

Secondo l’istituto centrale di statistica- continua Di Vittorio-   il bilancio minimo di una famiglia si aggira sulle 60.000 lit, ma un operaio non li guadagna. Arriva a 30.000 lit. al mese.
 Nell’agricoltura nel sud il bilancio diviene catastrofico,perché i braccianti lavorano saltuariamente per non più di 200 giorni l’anno. Sono sottoalimentati , mentre gli agrari latifondisti non reinvestono le loro rendite nei miglioramenti produttivi necessari alle aziende
(Ibidem, p.105-106) ) Occorre fissare un salario minimo per i lavoratori agricoli, i braccianti,soprattutto nel Mezzogiorno e nelle isole.

(Oggi in Italia le retribuzioni sono fra le più basse in Europa, per ragioni storiche, in quanto fin dagli anni Ottanta è stata bloccata la scala mobile,  cioè l’indicizzazione dei salari sui prezzi, ufficialmente per bloccare l’inflazione, che invece ha continuato a crescere. )

Depauperamento dei ceti medi

I lavoratori a reddito fisso vengono travolti da questa miseria dilagante. (fallimenti, protesti cambiari, aziende artigiane medio-piccole che chiudono ecc).
 La crisi odierna ha prodotto lo stesso fenomeno.

 Quindi le proposte della CGIL  erano 4 :

1) Le aziende elettriche monopolistiche devono essere nazionalizzate, 
( con esplicito riferimento agli articoli 42 e 43 della Costituzione, che  prevedono l’esproprio di monopoli, attraverso indennizzo, “a fini  di  utilità generale” )
“Soltanto utilizzando tutte le risorse idriche del nostro paese sarebbe possibile raddoppiare la produzione di elettricità” Ci sono migliaia di comuni che ne sono privi, ed è un ostacolo alla produzione.
Per costruire centrali idroelettriche occorrono tecnici e maestranze specializzate. Noi le abbiamo. Ma i monopoli non hanno interesse a produrre più elettricità,  per avere la possibilità di venderla a caro prezzo, e hanno praticamente sospeso la costruzione di nuovi impianti.
… Gli interessi economici di alcune centinaia di persone prevalgono sulla esigenza generale di sviluppo di tutta la nazione”.
2)
Occorre un Ente nazionale  per la bonifica, l’irrigazione e la trasformazione fondiaria, perché” i consorzi sono inaffidabili.”
 E accanto alle bonifiche è  necessaria  la riforma agraria per le trasformazioni fondiarie.
 (con  esplicito riferimento all’articolo 44 della Costituzione, 
che “ fissa limiti all’estensione della  proprietà terriera privata, promuove e impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo, aiutando la costituzione della piccola e media proprietà.”)

3)   occorre creare inoltre  un Ente nazionale per l’edilizia popolare  (Ina casa, Incis, cooperative) , per coprire un deficit di 14 milioni di vani, e dare lavoro a 400.000-500.000 lavoratori, e anche per  costruire le  scuole, e  gli ospedali distrutti dalla guerra.
 Questo  progetto sarà in parte   avviato da Fanfani, ministro dei lavori pubblici, con la costruzione di case popolari,  nel  primo governo di centro- sinistra.(1959)

4)    Auspicava  un piano di opere pubbliche (acquedotti, e fognature) per fornire un bene comune, l’acqua,  che specialmente nel Mezzogiorno era totalmente  carente, e per assicurarne  anche l’indispensabile  depurazione.

Con quali   risorse finanziarie realizzare tutto questo?

“Trattandosi di lavori produttivi,- dice Di Vittorio-  pensiamo che sia possibile e necessario chiedere alle classi abbienti , ai ceti privilegiati un contributo adeguato per questa grande opera nazionale”

(Anche qui non manca un riferimento al presente,  e cioè la richiesta avanzata dalle forze di sinistra per quella speciale tassa sui grandi patrimoni, indispensabile ad   acquisire  le risorse necessarie alla crescita)

Osservazioni conclusive: 

Pur essendo Piero Craveri  l’autore di un ottimo libro:”Sindacato e istituzioni nel dopoguerra, Il Mulino, Bologna, 1977, )  la sua relazione  nella prima tavola rotonda non pare  sufficientemente articolata,  e all’altezza  delle sue conoscenze.  Anzi, ci sembra fortemente omissiva  delle condizioni generali, in particolare sulla continuità giuridica e pragmatica col vecchio regime, grazie ai  i prefetti di Scelba  che ordinavano  i massacri dei lavoratori in piazza,l’esclusione politica degli iscritti alla CGIL  dalle assunzioni, e la repressione   nelle campagne, dove i sindacalisti  socialisti contadini venivano uccisi dalla mafia, braccio militare degli agrari,  per aver promosso  l’occupazione delle terre incolte. Ciò avvenne fin dal I° maggio 1947, col massacro a Portella della Ginestra, condotto sotto la guida  dell’agente Cia  James Angleton, che si valse della collaborazione delle forze dell’ordine,  di Valerio J. Borghese della X° MAS ,  e del bandito S.Giuliano, ma continuò   fino agli assassini di  Salvatore Carnevale, Placido Rizzotto ed altri. (47 in tutto)

b) Il Piano del lavoro  era difficile da realizzare in un contesto politico-economico sostanzialmente liberistico.
 Se De Gasperi aveva risposto “che avrebbe fatto proprio quel tanto di buono e attuabile presente nel piano”, pensando soprattutto alla riforma agraria, tuttavia   la DC dell’epoca , col governo  di centro-destra,  non era affatto disponibile alla nazionalizzazione dell’energia elettrica.
 Qualcosa doveva muoversi  col piano decennale di Ezio Vanoni, ministro del Tesoro, (1955-64), per il pareggio di bilancio in 4 anni, accanto a  misure  di tipo keynesiano, volte a creare 4 milioni di posti di lavoro. Si trattava di un piano senza aperture a sinistra,  al quale la Cisl prestò molta attenzione, perché volto a incoraggiare, specie nel Sud, i  rapporti clientelari per la DC.(P.Craveri, op.cit. p303- 306).

Solo alla fine degli anni Cinquanta lo Stato concretizzò una serie di interventi  di mediazione positivi, come quello di  A.Fanfani  sui  problemi della casa popolare, prestando ascolto alle richieste  del Piano del lavoro.  E, dopo la riforma agraria di De Gasperi,  la decisione più qualificante fu la creazione della Cassa del Mezzogiorno, per la quale  fu utile il  contributo di Pasquale Saraceno. 
Nel  settembre 1959 venne promulgata la legge 741  che  rendeva  obbligatori i contratti collettivi nazionali, previsti dall’art.39 della Costituzione. (P.Craveri, op.cit.350).  La legge prevedeva la necessità di una co-gestione fra i 3 sindacati in materia contrattuale, mettendo uno stop alla prassi di accordi separati con i due nuovi sindacati.
 La prospettiva di nazionalizzazione dell’industria  per le nuove centrali idro-elettriche,  fu resa possibile  nel 1957, grazie a un radicale cambiamento politico, dovuto  al distacco del PSI dal Pci, a seguito dei fatti d’Ungheria e alla nomina  di Enrico Mattei all’ENI. (1957).  L’industria pubblica si distaccò dalla Confindustria, e questo doveva  far  prevalere all’interno della DC   la linea di  centro-sinistra di Fanfani, molto legato a Mattei ( fu detto il supercorto-maggiore! ), determinando  l’uscita dei liberali dal governo.  Non durò molto: Mattei  venne ucciso nell’ott. ’62, per aver contrastato il predominio delle Sette Sorelle, le compagnie petrolifere americane.
Gli altri governi di centro-sinistra, presieduti da Aldo Moro dal dicembre 1963, furono molto più deboli sul piano delle riforme necessarie al paese.

 Sarebbe stata  molto importante   anche  per la CGIL la posizione di Di Vittorio a favore degli operai Ungheresi, (in lotta per migliori salari, massacrati dai tanks sovietici) (ottobre 1956) , contro la decisione di Togliatti   di approvare l’intervento militare.
Anche se Togliatti e Amendola l’obbligarono, attraverso una specie di processo, ad annullare le sue dichiarazioni, tuttavia, all’VIII° congresso del Pci, (dicembre 1956) col suo intervento “Compiti nuovi per un sindacato nuovo”,  Di Vittorio disse che bisognava romperla con la tradizione del sindacato “cinghia di trasmissione” del partito. (P.Craveri,  op.cit. p. 283).
(Giolitti disse di averlo visto piangere in macchina,  all’uscita da una riunione, dopo il “processo”, dove era stato accusato di voler prendere il posto di Togliatti alla segreteria del partito.
( cfr. Giorgio Bocca “Palmiro Togliatti, Laterza, Bari 1973, p.627).
Tuttavia  al congresso  Di Vittorio mantenne la sua posizione di indipendenza sindacale.
  Ricordiamo  però  che già nel dicembre ’55  l’autonomia  era un processo avviato, grazie a Vittorio Foa.
Bisognava combattere  in fabbrica per una diversa organizzazione del lavoro, per i bio- ritmi, contro i cottimi,  per  un allargamento degli organici, e per  orari di lavoro umani. In breve, la dignità umana sul lavoro. In questi termini la contrattazione aziendale cessava di essere, come voleva la Cisl, solo  una collaborazione per una maggiore produttività,  ma diventava un’articolazione più sottile della lotta di classe, per una nuova linea sindacale, volta a  tutelare  i diritti dei lavoratori a fronte delle nuove tecnologie tayloristiche, imposte  in modo autoritario da Valletta alla Fiat.
Anche in questo è possibile notare una continuità fra la linea  Fiom di Foa, condivisa da Di Vittorio,  e quella  odierna della Fiom di Landini,  nella sua lotta  anti-Marchionne,  a tutela delle condizioni  dei lavoratori in fabbrica :  oggi nettamente peggiorate,  sempre ai fini di una maggiore produttività, con  i tempi  convulsi  imposti nella  nuova catena di montaggio alla giapponese, in funzione sia a Melfi che a Pomigliano, con gravi danni per la salute degli addetti.
(Mentre  i sindacati   che hanno accettato il diktat di Marchionne, Cisl e Uil,  non sono  riusciti ad ottenere i 20 miliardi promessi per gli investimenti in Italia.)

Partendo dalle pessime condizioni degli operai in fabbrica, dalla precarietà, alla mobilità, alla cassa integrazione Landini al Convegno del parco dei principi, in giugno a Roma ,  ha dimostrato che per cambiare veramente queste condizioni occorre un serio e completo programma di governo, affrontando i temi della legalità, della scuola, della formazione,della ricerca, dell’innovazione, dell’informazione, dell’ecologia dell’ambiente,  e di  un’altra governance europea.
In parlamento occorre una rappresentanza degli interessi dei lavoratori che oggi manca, affinchè la parola equità non risulti una bella preso in giro. Lavoratori precari, disoccupati e pensionati: un terzo Stato che oggi in parlamento non c’è. Una vera svolta, come quella del piano del lavoro.
                                                  ***
 Mi chiedo: 
1) che cosa avrebbe detto  Di Vittorio delle disposizioni organizzative  di Marchionne, visto che hanno violato  in modo flagrante  l’articolo 41 della Costituzione.
” L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità della persona umana.”

2) E che cosa avrebbe detto poi,  visto che la ministra Fornero  ha conservato la decisione del Ministro Sacconi per la cancellazione dell’articolo 8, in funzione anti CGIL.
  “La «manovra d'agosto» di Berlusconi-Sacconi ha inserito una bomba a tempo nelle relazioni industriali, perché  l’articolo  consente agli accordi aziendali di andare «in deroga ai contratti collettivi e alle leggi in vigore». (cioè la 741 del 14 sett.1959), violando  soprattutto  l’art. 39  della Carta, che recita:
“I sindacati registrati hanno personalità giuridica.
Possono, in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro, con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti a cui il contratto si riferisce.

3) Inoltre che cosa avrebbe detto sulla   discriminazione sindacale  anti-Fiom operata  da Marchionne, sia a Melfi che a Pomigliano, per la quale la Fiat è stata   condannata da una recente sentenza del  Tar, che l’ha costretta a riassumere i lavoratori licenziati, risarcendoli dei salari non pagati. (sentenza definita da Marchionne “folklore locale”) Non è  una replica di quanto accadeva   contro la CGIL di Di Vittorio, in tema di assunzioni,  allo scopo di assicurare all’impresa il controllo politico della manodopera?
Otto Kahn-Freund, un grande giuslavorista  tedesco, ebreo emigrato in Inghilterra,  diceva : “Se non ti puoi scegliere il sindacato di appartenenza, perché, se no,  perdi il lavoro,  non sei un uomo libero”.
 E’ segnalato  da Marco Barbieri, docente di diritto del lavoro all’Univ. di Foggia,  nella tavola rotonda sull’attualità del Piano del lavoro (op.cit. p.66)
Dice ancora Marco Barbieri, “La strategia europea della flex-security,  sul modello danese, ( vi rendiamo precari sul luogo di lavoro, ma vi promettiamo assistenza quando sarete licenziati, così da rendere possibile trovare un nuovo lavoro),  strategia propugnata  nella riforma  Fornero, “ è impraticabile in Italia, perché al Sud, se  trovi il lavoro è precario, se lo perdi  non lo ritrovi, indipendentemente dalla riqualificazione, perché non c’è”. (op. cit. p.53)

4)       Mi chiedo inoltre come avrebbe reagito Di Vittorio a fronte dell’intervento  Fornero sull’articolo 18  (licenziamento possibile, contro risarcimento finanziario).
A me sembra che la Ministra di ferro mira a far tornare il paese alle dure condizioni degli anni ’50, contro le quali la CGIL aveva tanto  duramente combattuto, ignorando le conquiste dello Statuto dei lavoratori.
A quell’epoca  Di Vittorio aveva  preferito la legalizzazione del conflitto  a proposito del licenziamento individuale, introducendo il concetto “per giusta causa”, (che è poi confluito nell’art.18 dello Statuto dei lavoratori).  ( cfr P.Craveri , op.cit p.268-271)

  La distanza tra Sindacati e istituzioni pubbliche  rimane quindi  enorme oggi,  anche nel governo Monti. 
Quindi, dopo l’approvazione fiduciaria della  contro-riforma  Fornero da parte di un parlamento di nominati,  per consentire al Premier di presentarsi all’appuntamento europeo con un biglietto da visita in ordine, ( avendo  fatto “i compiti a casa”, cioè  il lavoro sporco che Berlusconi non riusciva a fare, a causa della Lega),  ritengo che  il  minimo che  gli si possa  chiedere, al  ritorno vittorioso da Bruxelles,  sia la sfiducia verso Madame “chiagne e fotte”, la più controproducente di tutto il governo, che, a detta di Bonanni, nel tempo che le resterebbe fino al 2013, “ potrebbe solo peggiorare la riforma e non migliorarla.”


Se è vero che  Monti ci ha salvato la vita nel novembre 2011, non possiamo essergli grati di volerci amputare le gambe,  ora nella spending rewiew.
 Vorremmo che tagliasse tutti gli sprechi. Vorremmo che incidesse di più sulle spese militari,  sulle consulenze, sui dirigenti statali. (che fra il 2001 e il 2006, sono saliti da 351 a 500, per pura esplosione clientelare, al servizio della politica). Nella sanità dal Lazio ingiù, ci sono dei tagli e delle razionalizzazioni da fare in corsia e al pronto soccorso, dove si va per non pagare. Ma occorre tempo per vedere dove e quanto tagliare.

                                  
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Se oggi la disoccupazione si eleva a 3 milioni di lavoratori, con centinaia di imprese che chiudono,appare molto difficile per i sindacati controllare  l’attività produttiva, le  loro scelte tecnologiche, la strategia degli investimenti, l’organizzazione del lavoro in fabbrica,  e ottenere per tutti i licenziati  gli ammortizzatori sociali.
Al  governo, dopo l’infelice riforma delle pensioni,  tocca anche di trovare  una soluzione accettabile  del problema esodati. ( rimasti senza pensioni e senza lavoro)
Appare quindi molto importante , e qui sono d’accordo con Silvia Berti, “che si faccia ora  una programmazione europea per l’occupazione”. Il Presidente del Consiglio potrebbe proporlo, ai prossimi vertici  U.E. 
 Visto poi  che l’art. 46 della Costituzione autorizza i lavoratori a partecipare ai consigli di gestione di un’azienda, spero che col tempo si possa arrivare in Italia, come pure  nel resto d’Europa,  alla grande conquista dei  sindacati tedeschi, che  ha consentito ai metallurgici  nella Volkswagen, di far  parte del CDA,  dove, insieme al datore di lavoro, possono  definire orari, salari, utili e  premi di produttività, disegnando anche le strategie di investimenti dell’impresa. 
 Purtroppo, nell’Europa di oggi,  orientata  a destra,  questa speranza di giustizia sociale resta un sogno, perché le ragioni  dei “mercati”, ovvero del capitale speculativo finanziario, all’origine della crisi, con i suoi titoli tossici, prevalgono  nettamente su quelle del lavoro.
 Basta ricordare che, secondo  la Banca dei Regolamenti Internazionali  tanto in Europa che in America c’è una nuova corsa ai titoli ad alto rischio:  la Deutsche Bank ne ha per 700 miliardi di euro, (il 40% del suo bilancio), mentre la Morgan Chase  americana arriva fino a 9 miliardi. Scommesse tutte scaricate sulla collettività.   Per uscire dalla crisi occorrerebbe una bella legge-pulizia  sui capitali bancari e sul loro risanamento. La Tobin tax è un’altra misura  che potrebbe aiutare a farlo. Ma occorrerebbe una vera riforma,  sul modello di quelle prese negli anni trenta all’epoca di Roosewelt, nel separare le banche ordinarie da quelle d’affari.

 Quindi   considero  molto positivo che  dall’ultimo vertice  europeo a Bruxelles si sia  stabilito che:
a)  ci sarà l’’Unione delle banche europee, vigilata dalla BCE,  in grado di  multare  gli istituti di credito  per l’uso di CDS (derivati)  e per tutte le  altre derive  abusive, dopo averle ricapitalizzate per evitarne il tracollo. (Saranno  severamente vigilate dalla troika , Bce, FMI e Commissione europea. )
b)La UBE potrà darci  projects bonds  necessari per la crescita, (130 miliardi) , nella strategia auspicata da Jacques Delors, 20 anni fa,  con una programmazione a medio e lungo termine, come dice Barca.
Un vero cambiamento.
c) Lo scudo anti- spread per frenare la speculazione è stata  anche un’altra  bella vittoria. Sarà di circa 80 miliardi, presi dal Fondo salva-stati.
Aspettiamo ora  di vedere lunedì come reagiscono “i mercati” e attendiamo di ascoltare il Premier che riferirà in parlamento martedì e mercoledì.
 Il rigorismo ossessivo della Merkel è stato battuto, con  le proposte positive  e unitarie dell’asse Mediterraneo. (Francia, Italia, Spagna), anche se la Cancelliera, molto popolare nel suo paese, conserva il diritto al controllo sul fiscal compact, votato di recente al Bundestag anche dall’opposizione socialdemocratica.
 Dobbiamo però costatare che c’è una inadeguatezza dei poteri pubblici di fronte all’arroganza dei banchieri che è veramente scandalosa.  Preferiscono sempre in tutta Europa scaricare la crisi sui  più deboli. Quello che è successo alla Grecia e ai suoi cittadini è vergognoso                                        

L’Europa che vogliamo:

Servono nuove elezioni, per una nuova Costituzione europea,  che veda il trionfo dell’Europa politica  dei cittadini e dei lavoratori,  con maggiori poteri al Parlamento di Strasburgo,   per ridiscutere a fondo  i trattati  di Mastricht e di Lisbona.
Se la nostra Costituzione ha costituito un argine efficace,  consentendo alle classi lavoratrici di difendersi dagli attacchi padronali,  è necessario che  in Europa ci siano analoghi argini contro le piene delle crisi  finanziarie e le soluzioni arbitrarie, parziali  e costrittive,  apportate dalla Destra al potere a Bruxelles: cioè una programmazione che consenta di trovare lavoro dovunque, nella difesa dei diritti.
L’euro è nato male. Bisogna riportarlo in vita nel modo corretto.
Oggi in Europa  accanto al tema della democrazia rappresentativa, presente a Strasburgo, con   un Parlamento  a poteri legislativi  ancora troppo limitati, in rapporto a quelli  esecutivi della Commissione, dobbiamo batterci  con forza  anche per la  democrazia diretta, partecipata, attraverso nuovi strumenti, con cui   far sentire la nostra voce: (referendum, leggi di ispirazione popolare).
Per realizzare sempre di più una democrazia dal basso, affinché i grandi poteri politici ed economico-bancari  che  hanno imposto le loro scelte-capestro, smettano di scegliere  al nostro posto.
Urge  realizzare su tutto il Continente  una maggiore giustizia sociale, politica, culturale e ambientale, che non dimentichi i valori fondamentali per i quali è nata l’Europa.
 Non solo la moneta: lavoro, welfare state, cultura e istruzione, legalità, e soprattutto la pace!
Occorrono sindacati europei che abbiano,  in piena autonomia, la forza necessaria per programmare, insieme agli industriali, modelli di sviluppo diversi,  eco-sostenibili, con adeguati investimenti che consentano la riconversione produttiva.
  (Perché Finmeccanica deve  continuare a produrre armi, dismettendo il settore treni, di cui c’è tanto bisogno?)
Non si può morire di liberismo selvaggio, di speculazioni bancarie, di  Mastricht,  di guerre “ umanitarie”,  pagate  sempre dai più deboli per gli interessi economici di minoranze, che, a nostre spese, si arricchiscono sempre di più.
L’Europa futura dovrà essere un modello per il mondo intero, per realizzare vere riforme, affinché l’economia diventi sempre più ecologica, per salvare tutto il pianeta dai disastri climatici e creare nuovi posti di lavoro. E’ importante anche per paesi come la Cina, in testa allo sviluppo economico mondiale.