Questo libro, pubblicato da Silvia Berti, docente di storia all'Università della Sapienza, e nipote di Giuseppe di Vittorio, mi è parso di grande attualità e meritevole di essere segnalato all'attenzione di tutti i lettori, oggi coinvolti nella peggiore delle crisi attraversata dal nostro paese, dalla fine della guerra .
La CGIL fra il 1943 e il ‘48 era stato un sindacato unitario, che si avvaleva di tutte le componenti della Resistenza in lotta contro fascismo : comunisti, socialisti e cattolici, riuniti in assemblea Costituente. Tutti avevano firmato il Patto di Roma. (3 giugno 1944).
Comunque erano già apparsi segni di differenziazione fra comunisti e cattolici, perché se Di Vittorio aveva proposto la Federazione agricola dei braccianti, De Gasperi in una lettera a Don Sturzo del 1944 aveva manifestato l’importanza di costituire una federazione dei piccoli proprietari coltivatori diretti, associazione che sarebbe nata 7 mesi dopo, un supporto importante per la sua futura riforma agraria.
(Gianfranco A. Bianchi –Storia dei sindacati in Italia, editori riuniti, Roma, 1984, pp. 24)
Nel gennaio 1944 , durante gli incontri per il Patto di Roma tutti i dirigenti democristiani stabilirono che lo sciopero doveva essere funzionale solo ai contratti di lavoro, essendo nettamente contrari ai principi della lotta di classe,
L’8 giugno 1944 nel Convento alla Minerva nascevano le Acli (Associazione cattolica dei lavoratori italiani) per merito di Mario Scelba, Erano un’emanazione diretta dell’Azione Cattolica (ibidem, pag.31)
Tuttavia essendo l’Italia sotto la tutela anglo-americana il 24 agosto 1944 era giunta una delegazione di sindacalisti americani, capeggiati da Luigi Antonini ((Italian American Labor Council), che avrebbe avuto un gran ruolo più tardi, nel 1948, nella spaccatura del sindacato.. (ibidem, p.34)
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Il frutto migliore di quel periodo fu la stesura della Costituzione , con gli articoli 39 e 40, che, si opponevano radicalmente alla pratica repressiva consolidata del vecchio regime, ma che purtroppo contenevano un margine di ambiguità rinviando a un approfondimento normativo che nella Carta non c’era, sia in materia di contratti collettivi che sulle regole per la libertà di sciopero. -
La situazione sarebbe purtroppo radicalmente cambiata e avrebbe duramente risentito dei cambiamenti politici intervenuti dal ’47 sul piano internazionale, (dopo la morte di Rosewelt , e il colpo di stato dell’Urss a Praga) e sul piano nazionale, con la scissione dei socialdemocratici di Saragat dai socialisti frontisti di Nenni, (maggio 1947, a palazzo Barberini) aggravandosi ulteriormente dopo le elezioni dell’aprile del ’48, con la sconfitta del fronte unitario social-comunista, e la vittoria schiacciante della DC, con i suoi alleati laici .
La Cgil era ancora un sindacato cinghia di trasmissione del Pci, che suggeriva di politicizzare le rivendicazioni economiche dei lavoratori, ma condivideva il senso di responsabilità di Di Vittorio, che, in nome della durissima situazione del paese nell’immediato dopoguerra, escludeva la rivendicazione salariale egoista, e proponeva nel memoriale di rivendicazioni presentato al governo Bonomi (9 agosto 1944), la rinuncia a chieder un aumento generale dei salari, pur chiedendo al governo il controllo dei prezzi, e grandi lavori di utilità pubblica e privata, da finanziare con una tassa straordinaria sui profitti di guerra
(G.Bianchi, op.cit, p.40)
Il blocco politico moderato di centro-destra si avvaleva ancora degli apparati pubblici e della burocrazia, uscita relativamente intatta dal fascismo, e sul piano giuridico i due articoli della Costituzione dovevano convivere ancora a lungo con la normativa fascista : il codice penale Rocco del 1931 e l’ordinamento giudiziario del 1941.
Entrambi furono all’origine di due circolari emesse dal Ministro degli Interni Mario Scelba , una del sett.’47 e l’altra del sett.’48, a seguito dell’attentato a Palmiro Togliatti .
(U.Romagnoli-T.Treu- I sindacati in Italia: Storia di una strategia (1945-76), Il Mulino , Bologna 1977, pp 24-30)
Quando il 14 luglio 1948 ci fu l’attentato di Pallante a Togliatti la CGIL venne accusata di voler organizzare uno sciopero insurrezionale contro i risultati elettorali del 18 aprile, e in base alla circolare Scelba, i prefetti fecero arrestare migliaia di manifestanti indignati dall’evento, lasciando anche morti sul terreno.
Tuttavia nel ’49 nel corso delle lotte per il rinnovamento dei contratti. gli scioperi continuarono in modo intensivo, sia al Nord che nelle campagne al Sud , mentre il Ministero degli Interni continuava a scatenare la repressione nelle piazze, (16 morti e 206 feriti, come disse lo stesso Scelba in Parlamento.)
Iniziò così il graduale indebolimento del potere sindacale della CGIL , e le commissioni interne rimasero senza alcun potere contrattuale, grazie all’azione durissima del grande padronato.
La Fiom aveva nel ’50 80.000 iscritti, ma nel ’55, dopo la perdita delle elezioni nelle commissioni interne, dal 63% divenne un sindacato minoritario al 37%.
L’errore grave della sinistra negli anni ‘50 fu di credere che il rapporto Stato-sindacato fosse governabile, mentre evidentemente non lo era più. Lo Stato non era neutrale e garante della ridistribuzione del potere, fra industriali, agrari e lavoratori.
I prefetti erano ostili ai comizi che si tenevano in fabbrica, alla loro occupazione, al volantinaggio e perfino all’uso degli altoparlanti che annunciavano lo sciopero, adottando una disciplina normativa estremamente restrittiva , che doveva durare fino al 1959.
Se fino al ‘50 i licenziamenti venivano fatti per convertire un’industria bellica in industria di pace, successivamente vennero fatti individualmente, per discriminare politicamente i lavoratori della Fiom e della CGIL, ripristinando il terrorismo padronale di marca fascista.
Bisogna ricordare che dopo la vittoria politica del’48 sia gli americani che il Vaticano volevano un 18 aprile ’48 anche sindacale:. Dopo il congresso delle Acli nel settembre del 1949 in S.Giovanni Laterano, al quale parteciparono Fanfani (min. del lavoro) Taviani e Rumor, venne adottata in un’ottica di conciliazione interclassista la preferenza per la contrattazione aziendale, in uno spirito di collaborazione per una maggiore produttività dell’impresa. (gli aumenti salariali ,certo, ma solo se cresceva la produttività) . Era la linea difesa da Joseph la Palombara che, nel quadro del piano Marshall, auspicava federazioni libere.
Pertanto ci fu una scissione della Libera CGIL, che poi divenne la Cisl,
il cui statuto precisava la necessità della totale autonomia dei sindacalisti nei confronti dei partiti in Italia), a differenza della CGIL che restava legata al PCI .
Il I° maggio 1948 durante la festa del lavoro, Pastore e i cattolici lasciarono il palco, per avviare la spaccatura sindacale, preconizzata tanto dalle Acli che dal segretario di Stato americano Marshall
( G. Bianchi, op.cit., p.84-87).
Si determinò un’asprezza concorrenziale fra i 3 sindacati, che vide una drastica riduzione di iscritti della CGIL alla Fiat, dove Valletta aveva inaugurato una linea dura, col rinvio sistematico della firma dei contratti collettivi, ad aumenti salariali modesti, escludendo di assumere operai sospetti, con netta preferenza a chi veniva raccomandato dagli oratori parrocchiani, (come accertò un’inchiesta dello storico Giampiero Carocci, pubblicata su Nuovi Argomenti, alcuni anni dopo (giugno 1958)
Vennero elargiti inoltre dai sindacati Usa AFL e CIO finanziamenti per 2 milioni di dollari alla Cisl e alla Uil, per particolare interessamento di Irving Brown ( il cui nome doveva figurare nel Who is who degli agenti della CIA), mentre la CGIL restava in bolletta, e contava sulle piazze anche i suoi morti.
(S.Turone, Storia del sindacato in Italia 1943/1980. Bari, Laterza, 1981, p.152-153)
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Questo era il clima nel quale al congresso della CGIL a Genova nell’ott. del ’49, venne annunciata la svolta politica, che sarebbe stata formulata integralmente a Roma, nel febbraio del1950, in occasione della Conferenza nazionale della CGIL, con la collaborazione di 4 tecnici, tra cui gli economisti Sylos Labini e Federico Caffè.
Di Vittorio doveva cambiare strategia, per uscire dall’impasse in cui il sindacato era stato cacciato, e a suggerirgli il cambio di passo, dovevano essere 3 uomini del Partito d’azione.
Vittorio Foa, dell’ufficio studi della CGIl, a cui era stato affidato il coordinamento del Piano del lavoro, Riccardo Lombardi, passato al PSI, che glielo aveva suggerito, “per uscire dalla linea rivendicativa del giorno per giorno e darsi un programma di ampio respiro” (cfr. S.Turone, op.cit. p.186), e infine Ernesto Rossi, del gruppo di Unità popolare (grazie al quale doveva fallire il piano DC per la legge maggioritaria, detta legge truffa, il 7 giugno 1953) e che, con i liberali de “Il Mondo” si sarebbe battuto appassionatamente per la nazionalizzazione dell’industria elettrica, fino alla vittoria del 1962, con il governo di centro-sinistra.
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Per tornare al libro di cui al titolo , esso è strutturato in 2 parti:
a) la prima una tavola rotonda storica, che intende situare il documento nel contesto in cui era maturato, con la partecipazione di professori universitari, storici del sindacato, come Piero, Craveri, Giuseppe Berta, Luigi Masella, professore all’Un. Di Bari, e Vito A, Leuzzi, direttore dell’Ipsaic, che ha messo in evidenza la particolare attenzione alla rinascita della scuola e all’educazione civica, nel disegno riformistico del Piano CGIL.
b) la seconda che vuole ricostruire l’attualità del documento, per le politiche necessarie in tempo di crisi, con l’intervento del Ministro Fabrizio Barca, nell’ottica di una strategia dello sviluppo, a medio e lungo termine, di natura europea, con la partecipazione del giurista Marco Barbieri, di Marco Magnani, capo servizio statistiche di BANKITALIA, e soprattutto di Renato Soru. Presidente e a.d di Tiscali.)
In appendice viene ripubblicato il documento originale, Piano per il lavoro già edito da Laterza, presentato alla Conferenza economica nazionale della CGIl nel febbraio 1950, a Roma., con una relazione introduttiva di Giuseppe Di Vittorio.
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Questo documento non trovò interlocutori validi sul piano politico, “ pur essendo,- secondo Vittorio Foa e Bruno Trentin, ”il primo tentativo organico del sindacato di formulare linee di politica di sviluppo per investimenti produttivi su scala settoriale e regionale, con alcune riforme strutturali, in agricoltura e nel settore energetico (la nazionalizzazione dell’industria elettrica”)
(“Lavoratori e sindacati di fronte alle trasformazioni del processo produttivo”, Feltrinelli, Milano, 1962.)
Mi sembra opportuno cominciare con l’analisi testo, “scaturito con l’aiuto prezioso dell’Ufficio Studi della CGIL”, dice Di Vittorio, guidato da Vittorio Foa, il quale, come dice Leuzzi, (op.cit. p.44) lo aveva giudicato “ il politico più raffinato, perché capace di superare l’immediatezza rivendicativa e affondare lo sguardo nei tempi lunghi…Aggiungendo:
Credo di dover riconoscere in quell’uomo il mio solo maestro di politica”(V.Foa- Questo Novecento, -Einaudi, Torino 1996)
Nella sua relazione introduttiva Di Vittorio proponeva di affrontare i problemi economici nazionali”con una politica economica unitaria, più organica, per dare l’avvio alla macchina ferma della nostra economia”.
Al piano- diceva- hanno collaborato tutte le nostre Camere del lavoro, per conoscere e discutere i problemi locali insoluti, svolgendo le loro inchieste in tutti i comuni della provincia, indipendentemente dal loro colore politico, fornendo una ricca messe di dati.
L’obiettivo è di individuare “quali investimenti siano necessari per aumentare la produzione e il reddito nazionale”. …
Hanno quindi elaborato dei piani regionali, che possono considerarsi parte costitutiva del Piano nazionale”.
(Oggi la nuova associazione A.L.B.A (Alleanza per il lavoro i beni comuni e l’ambiente) adotta lo stesso metodo, con l’individuare sul territorio le necessità progettuali, per inserirle poi in una strategia nazionale. (Il suo prossimo incontro si svolge a Parma il 30 giugno e il 1° luglio)
II° Appare molto interessante la critica mossa da Di Vittorio alla politica economica del Governo, da lui definita “ la politica della lesina”, della compressione delle spese e del risanamento del bilancio, come fatto determinante di tutta la vita economica del paese, “caratterizzata da depressione produttiva, disoccupazione enorme in crescita permanente, bassi salari,…impoverimento del mercato, depauperamento dei ceti medi produttori.( Op.cit. p.99)
Se vogliamo leggere il passato con riferimento al nostro presente, come propone il Ministro Barca, non possiamo non ritrovare in queste parole la critica espressa da molti italiani alla politica recessiva del governo Monti, perché forse non è stata la migliore decisione l’aver messo al primo posto nella vita economica del paese il risanamento del debito al 2013, in un periodo evidente di decrescita economica, su esplicita richiesta merkeliana. I tempi avrebbero dovuto essere più lunghi, in funzione di un aumento del P.i.l. grazie a una politica dello sviluppo.
Disoccupazione
“ La disoccupazione in constante aggravamento: 2 milioni di disoccupati permanenti fra il 1947 e il 1949.- diceva Di Vittorio.
A questo dobbiamo aggiungere un milione e mezzo di braccianti agricoli che lavorano saltuariamente alcuni giorni al mese.
(Oggi in Italia essa è ancora più grave, poiché riguarda il 10% della popolazione.)
Descrivendo poi le condizioni di vita nelle campagne- Di Vittorio aggiungeva:
“ Il paese non produce il fabbisogno necessario alla sua alimentazione, importando dall’estero il 30% del fabbisogno granario, ha un regime delle acque non regolamentato, per cui l’agricoltura è soggetta ad alluvioni che distruggono vite umane, e mentre milioni di ettari di terra non sono bonificati, altri non sono irrigati, e milioni di lavoratori invocano come una grazia di andare a lavorare per dissodare e fecondare terre, suscettibili di trasformazioni fondiarie.”
(A questo proposito si ricorda il famoso sciopero alla rovescia, quando centinaia di contadini invasero il territorio del lago prosciugato del Fucino, per lavorare le terre incolte dei latifondi Torlonia , pretendendo poi di essere pagati per il lavoro svolto.
Ci furono scontri sanguinosi . Sul terreno i poliziotti di Scelba lasciarono 2 morti, ma grazie a un accordo sindacale tra Di Vittorio e Segni, ministro dell’agricoltura, i Torlonia pagarono per quel lavoro 14 milioni di lit. (3 marzo 1950)
Dalla fine della guerra il bilancio luttuoso delle guerre contadine fu di 84 morti
(S.Turone, op.cit.p.173 e 175.)
Le retribuzioni
Secondo l’istituto centrale di statistica- continua Di Vittorio- il bilancio minimo di una famiglia si aggira sulle 60.000 lit, ma un operaio non li guadagna. Arriva a 30.000 lit. al mese.
Nell’agricoltura nel sud il bilancio diviene catastrofico,perché i braccianti lavorano saltuariamente per non più di 200 giorni l’anno. Sono sottoalimentati , mentre gli agrari latifondisti non reinvestono le loro rendite nei miglioramenti produttivi necessari alle aziende
(Ibidem, p.105-106) ) Occorre fissare un salario minimo per i lavoratori agricoli, i braccianti,soprattutto nel Mezzogiorno e nelle isole.
(Oggi in Italia le retribuzioni sono fra le più basse in Europa, per ragioni storiche, in quanto fin dagli anni Ottanta è stata bloccata la scala mobile, cioè l’indicizzazione dei salari sui prezzi, ufficialmente per bloccare l’inflazione, che invece ha continuato a crescere. )
Depauperamento dei ceti medi
I lavoratori a reddito fisso vengono travolti da questa miseria dilagante. (fallimenti, protesti cambiari, aziende artigiane medio-piccole che chiudono ecc).
La crisi odierna ha prodotto lo stesso fenomeno.
Quindi le proposte della CGIL erano 4 :
1) Le aziende elettriche monopolistiche devono essere nazionalizzate,
( con esplicito riferimento agli articoli 42 e 43 della Costituzione, che prevedono l’esproprio di monopoli, attraverso indennizzo, “a fini di utilità generale” )
“Soltanto utilizzando tutte le risorse idriche del nostro paese sarebbe possibile raddoppiare la produzione di elettricità” Ci sono migliaia di comuni che ne sono privi, ed è un ostacolo alla produzione.
Per costruire centrali idroelettriche occorrono tecnici e maestranze specializzate. Noi le abbiamo. Ma i monopoli non hanno interesse a produrre più elettricità, per avere la possibilità di venderla a caro prezzo, e hanno praticamente sospeso la costruzione di nuovi impianti.
… Gli interessi economici di alcune centinaia di persone prevalgono sulla esigenza generale di sviluppo di tutta la nazione”.
2)
Occorre un Ente nazionale per la bonifica, l’irrigazione e la trasformazione fondiaria, perché” i consorzi sono inaffidabili.”
E accanto alle bonifiche è necessaria la riforma agraria per le trasformazioni fondiarie.
(con esplicito riferimento all’articolo 44 della Costituzione,
che “ fissa limiti all’estensione della proprietà terriera privata, promuove e impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo, aiutando la costituzione della piccola e media proprietà.”)
3) occorre creare inoltre un Ente nazionale per l’edilizia popolare (Ina casa, Incis, cooperative) , per coprire un deficit di 14 milioni di vani, e dare lavoro a 400.000-500.000 lavoratori, e anche per costruire le scuole, e gli ospedali distrutti dalla guerra.
Questo progetto sarà in parte avviato da Fanfani, ministro dei lavori pubblici, con la costruzione di case popolari, nel primo governo di centro- sinistra.(1959)
4) Auspicava un piano di opere pubbliche (acquedotti, e fognature) per fornire un bene comune, l’acqua, che specialmente nel Mezzogiorno era totalmente carente, e per assicurarne anche l’indispensabile depurazione.
Con quali risorse finanziarie realizzare tutto questo?
“Trattandosi di lavori produttivi,- dice Di Vittorio- pensiamo che sia possibile e necessario chiedere alle classi abbienti , ai ceti privilegiati un contributo adeguato per questa grande opera nazionale”
(Anche qui non manca un riferimento al presente, e cioè la richiesta avanzata dalle forze di sinistra per quella speciale tassa sui grandi patrimoni, indispensabile ad acquisire le risorse necessarie alla crescita)
Osservazioni conclusive:
Pur essendo Piero Craveri l’autore di un ottimo libro:”Sindacato e istituzioni nel dopoguerra, Il Mulino, Bologna, 1977, ) la sua relazione nella prima tavola rotonda non pare sufficientemente articolata, e all’altezza delle sue conoscenze. Anzi, ci sembra fortemente omissiva delle condizioni generali, in particolare sulla continuità giuridica e pragmatica col vecchio regime, grazie ai i prefetti di Scelba che ordinavano i massacri dei lavoratori in piazza,l’esclusione politica degli iscritti alla CGIL dalle assunzioni, e la repressione nelle campagne, dove i sindacalisti socialisti contadini venivano uccisi dalla mafia, braccio militare degli agrari, per aver promosso l’occupazione delle terre incolte. Ciò avvenne fin dal I° maggio 1947, col massacro a Portella della Ginestra, condotto sotto la guida dell’agente Cia James Angleton, che si valse della collaborazione delle forze dell’ordine, di Valerio J. Borghese della X° MAS , e del bandito S.Giuliano, ma continuò fino agli assassini di Salvatore Carnevale, Placido Rizzotto ed altri. (47 in tutto)
b) Il Piano del lavoro era difficile da realizzare in un contesto politico-economico sostanzialmente liberistico.
Se De Gasperi aveva risposto “che avrebbe fatto proprio quel tanto di buono e attuabile presente nel piano”, pensando soprattutto alla riforma agraria, tuttavia la DC dell’epoca , col governo di centro-destra, non era affatto disponibile alla nazionalizzazione dell’energia elettrica.
Qualcosa doveva muoversi col piano decennale di Ezio Vanoni, ministro del Tesoro, (1955-64), per il pareggio di bilancio in 4 anni, accanto a misure di tipo keynesiano, volte a creare 4 milioni di posti di lavoro. Si trattava di un piano senza aperture a sinistra, al quale la Cisl prestò molta attenzione, perché volto a incoraggiare, specie nel Sud, i rapporti clientelari per la DC.(P.Craveri, op.cit. p303- 306).
Solo alla fine degli anni Cinquanta lo Stato concretizzò una serie di interventi di mediazione positivi, come quello di A.Fanfani sui problemi della casa popolare, prestando ascolto alle richieste del Piano del lavoro. E, dopo la riforma agraria di De Gasperi, la decisione più qualificante fu la creazione della Cassa del Mezzogiorno, per la quale fu utile il contributo di Pasquale Saraceno.
Nel settembre 1959 venne promulgata la legge 741 che rendeva obbligatori i contratti collettivi nazionali, previsti dall’art.39 della Costituzione. (P.Craveri, op.cit.350). La legge prevedeva la necessità di una co-gestione fra i 3 sindacati in materia contrattuale, mettendo uno stop alla prassi di accordi separati con i due nuovi sindacati.
La prospettiva di nazionalizzazione dell’industria per le nuove centrali idro-elettriche, fu resa possibile nel 1957, grazie a un radicale cambiamento politico, dovuto al distacco del PSI dal Pci, a seguito dei fatti d’Ungheria e alla nomina di Enrico Mattei all’ENI. (1957). L’industria pubblica si distaccò dalla Confindustria, e questo doveva far prevalere all’interno della DC la linea di centro-sinistra di Fanfani, molto legato a Mattei ( fu detto il supercorto-maggiore! ), determinando l’uscita dei liberali dal governo. Non durò molto: Mattei venne ucciso nell’ott. ’62, per aver contrastato il predominio delle Sette Sorelle, le compagnie petrolifere americane.
Gli altri governi di centro-sinistra, presieduti da Aldo Moro dal dicembre 1963, furono molto più deboli sul piano delle riforme necessarie al paese.
Sarebbe stata molto importante anche per la CGIL la posizione di Di Vittorio a favore degli operai Ungheresi, (in lotta per migliori salari, massacrati dai tanks sovietici) (ottobre 1956) , contro la decisione di Togliatti di approvare l’intervento militare.
Anche se Togliatti e Amendola l’obbligarono, attraverso una specie di processo, ad annullare le sue dichiarazioni, tuttavia, all’VIII° congresso del Pci, (dicembre 1956) col suo intervento “Compiti nuovi per un sindacato nuovo”, Di Vittorio disse che bisognava romperla con la tradizione del sindacato “cinghia di trasmissione” del partito. (P.Craveri, op.cit. p. 283).
(Giolitti disse di averlo visto piangere in macchina, all’uscita da una riunione, dopo il “processo”, dove era stato accusato di voler prendere il posto di Togliatti alla segreteria del partito.
( cfr. Giorgio Bocca “Palmiro Togliatti, Laterza, Bari 1973, p.627).
Tuttavia al congresso Di Vittorio mantenne la sua posizione di indipendenza sindacale.
Ricordiamo però che già nel dicembre ’55 l’autonomia era un processo avviato, grazie a Vittorio Foa.
Bisognava combattere in fabbrica per una diversa organizzazione del lavoro, per i bio- ritmi, contro i cottimi, per un allargamento degli organici, e per orari di lavoro umani. In breve, la dignità umana sul lavoro. In questi termini la contrattazione aziendale cessava di essere, come voleva la Cisl, solo una collaborazione per una maggiore produttività, ma diventava un’articolazione più sottile della lotta di classe, per una nuova linea sindacale, volta a tutelare i diritti dei lavoratori a fronte delle nuove tecnologie tayloristiche, imposte in modo autoritario da Valletta alla Fiat.
Anche in questo è possibile notare una continuità fra la linea Fiom di Foa, condivisa da Di Vittorio, e quella odierna della Fiom di Landini, nella sua lotta anti-Marchionne, a tutela delle condizioni dei lavoratori in fabbrica : oggi nettamente peggiorate, sempre ai fini di una maggiore produttività, con i tempi convulsi imposti nella nuova catena di montaggio alla giapponese, in funzione sia a Melfi che a Pomigliano, con gravi danni per la salute degli addetti.
(Mentre i sindacati che hanno accettato il diktat di Marchionne, Cisl e Uil, non sono riusciti ad ottenere i 20 miliardi promessi per gli investimenti in Italia.)
Partendo dalle pessime condizioni degli operai in fabbrica, dalla precarietà, alla mobilità, alla cassa integrazione Landini al Convegno del parco dei principi, in giugno a Roma , ha dimostrato che per cambiare veramente queste condizioni occorre un serio e completo programma di governo, affrontando i temi della legalità, della scuola, della formazione,della ricerca, dell’innovazione, dell’informazione, dell’ecologia dell’ambiente, e di un’altra governance europea.
In parlamento occorre una rappresentanza degli interessi dei lavoratori che oggi manca, affinchè la parola equità non risulti una bella preso in giro. Lavoratori precari, disoccupati e pensionati: un terzo Stato che oggi in parlamento non c’è. Una vera svolta, come quella del piano del lavoro.
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Mi chiedo:
1) che cosa avrebbe detto Di Vittorio delle disposizioni organizzative di Marchionne, visto che hanno violato in modo flagrante l’articolo 41 della Costituzione.
” L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità della persona umana.”
2) E che cosa avrebbe detto poi, visto che la ministra Fornero ha conservato la decisione del Ministro Sacconi per la cancellazione dell’articolo 8, in funzione anti CGIL.
“La «manovra d'agosto» di Berlusconi-Sacconi ha inserito una bomba a tempo nelle relazioni industriali, perché l’articolo consente agli accordi aziendali di andare «in deroga ai contratti collettivi e alle leggi in vigore». (cioè la 741 del 14 sett.1959), violando soprattutto l’art. 39 della Carta, che recita:
“I sindacati registrati hanno personalità giuridica.
Possono, in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro, con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti a cui il contratto si riferisce.
3) Inoltre che cosa avrebbe detto sulla discriminazione sindacale anti-Fiom operata da Marchionne, sia a Melfi che a Pomigliano, per la quale la Fiat è stata condannata da una recente sentenza del Tar, che l’ha costretta a riassumere i lavoratori licenziati, risarcendoli dei salari non pagati. (sentenza definita da Marchionne “folklore locale”) Non è una replica di quanto accadeva contro la CGIL di Di Vittorio, in tema di assunzioni, allo scopo di assicurare all’impresa il controllo politico della manodopera?
Otto Kahn-Freund, un grande giuslavorista tedesco, ebreo emigrato in Inghilterra, diceva : “Se non ti puoi scegliere il sindacato di appartenenza, perché, se no, perdi il lavoro, non sei un uomo libero”.
E’ segnalato da Marco Barbieri, docente di diritto del lavoro all’Univ. di Foggia, nella tavola rotonda sull’attualità del Piano del lavoro (op.cit. p.66)
Dice ancora Marco Barbieri, “La strategia europea della flex-security, sul modello danese, ( vi rendiamo precari sul luogo di lavoro, ma vi promettiamo assistenza quando sarete licenziati, così da rendere possibile trovare un nuovo lavoro), strategia propugnata nella riforma Fornero, “ è impraticabile in Italia, perché al Sud, se trovi il lavoro è precario, se lo perdi non lo ritrovi, indipendentemente dalla riqualificazione, perché non c’è”. (op. cit. p.53)
4) Mi chiedo inoltre come avrebbe reagito Di Vittorio a fronte dell’intervento Fornero sull’articolo 18 (licenziamento possibile, contro risarcimento finanziario).
A me sembra che la Ministra di ferro mira a far tornare il paese alle dure condizioni degli anni ’50, contro le quali la CGIL aveva tanto duramente combattuto, ignorando le conquiste dello Statuto dei lavoratori.
A quell’epoca Di Vittorio aveva preferito la legalizzazione del conflitto a proposito del licenziamento individuale, introducendo il concetto “per giusta causa”, (che è poi confluito nell’art.18 dello Statuto dei lavoratori). ( cfr P.Craveri , op.cit p.268-271)
La distanza tra Sindacati e istituzioni pubbliche rimane quindi enorme oggi, anche nel governo Monti.
Quindi, dopo l’approvazione fiduciaria della contro-riforma Fornero da parte di un parlamento di nominati, per consentire al Premier di presentarsi all’appuntamento europeo con un biglietto da visita in ordine, ( avendo fatto “i compiti a casa”, cioè il lavoro sporco che Berlusconi non riusciva a fare, a causa della Lega), ritengo che il minimo che gli si possa chiedere, al ritorno vittorioso da Bruxelles, sia la sfiducia verso Madame “chiagne e fotte”, la più controproducente di tutto il governo, che, a detta di Bonanni, nel tempo che le resterebbe fino al 2013, “ potrebbe solo peggiorare la riforma e non migliorarla.”
Se è vero che Monti ci ha salvato la vita nel novembre 2011, non possiamo essergli grati di volerci amputare le gambe, ora nella spending rewiew.
Vorremmo che tagliasse tutti gli sprechi. Vorremmo che incidesse di più sulle spese militari, sulle consulenze, sui dirigenti statali. (che fra il 2001 e il 2006, sono saliti da 351 a 500, per pura esplosione clientelare, al servizio della politica). Nella sanità dal Lazio ingiù, ci sono dei tagli e delle razionalizzazioni da fare in corsia e al pronto soccorso, dove si va per non pagare. Ma occorre tempo per vedere dove e quanto tagliare.
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Se oggi la disoccupazione si eleva a 3 milioni di lavoratori, con centinaia di imprese che chiudono,appare molto difficile per i sindacati controllare l’attività produttiva, le loro scelte tecnologiche, la strategia degli investimenti, l’organizzazione del lavoro in fabbrica, e ottenere per tutti i licenziati gli ammortizzatori sociali.
Al governo, dopo l’infelice riforma delle pensioni, tocca anche di trovare una soluzione accettabile del problema esodati. ( rimasti senza pensioni e senza lavoro)
Appare quindi molto importante , e qui sono d’accordo con Silvia Berti, “che si faccia ora una programmazione europea per l’occupazione”. Il Presidente del Consiglio potrebbe proporlo, ai prossimi vertici U.E.
Visto poi che l’art. 46 della Costituzione autorizza i lavoratori a partecipare ai consigli di gestione di un’azienda, spero che col tempo si possa arrivare in Italia, come pure nel resto d’Europa, alla grande conquista dei sindacati tedeschi, che ha consentito ai metallurgici nella Volkswagen, di far parte del CDA, dove, insieme al datore di lavoro, possono definire orari, salari, utili e premi di produttività, disegnando anche le strategie di investimenti dell’impresa.
Purtroppo, nell’Europa di oggi, orientata a destra, questa speranza di giustizia sociale resta un sogno, perché le ragioni dei “mercati”, ovvero del capitale speculativo finanziario, all’origine della crisi, con i suoi titoli tossici, prevalgono nettamente su quelle del lavoro.
Basta ricordare che, secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali tanto in Europa che in America c’è una nuova corsa ai titoli ad alto rischio: la Deutsche Bank ne ha per 700 miliardi di euro, (il 40% del suo bilancio), mentre la Morgan Chase americana arriva fino a 9 miliardi. Scommesse tutte scaricate sulla collettività. Per uscire dalla crisi occorrerebbe una bella legge-pulizia sui capitali bancari e sul loro risanamento. La Tobin tax è un’altra misura che potrebbe aiutare a farlo. Ma occorrerebbe una vera riforma, sul modello di quelle prese negli anni trenta all’epoca di Roosewelt, nel separare le banche ordinarie da quelle d’affari.
Quindi considero molto positivo che dall’ultimo vertice europeo a Bruxelles si sia stabilito che:
a) ci sarà l’’Unione delle banche europee, vigilata dalla BCE, in grado di multare gli istituti di credito per l’uso di CDS (derivati) e per tutte le altre derive abusive, dopo averle ricapitalizzate per evitarne il tracollo. (Saranno severamente vigilate dalla troika , Bce, FMI e Commissione europea. )
b)La UBE potrà darci projects bonds necessari per la crescita, (130 miliardi) , nella strategia auspicata da Jacques Delors, 20 anni fa, con una programmazione a medio e lungo termine, come dice Barca.
Un vero cambiamento.
c) Lo scudo anti- spread per frenare la speculazione è stata anche un’altra bella vittoria. Sarà di circa 80 miliardi, presi dal Fondo salva-stati.
Aspettiamo ora di vedere lunedì come reagiscono “i mercati” e attendiamo di ascoltare il Premier che riferirà in parlamento martedì e mercoledì.
Il rigorismo ossessivo della Merkel è stato battuto, con le proposte positive e unitarie dell’asse Mediterraneo. (Francia, Italia, Spagna), anche se la Cancelliera, molto popolare nel suo paese, conserva il diritto al controllo sul fiscal compact, votato di recente al Bundestag anche dall’opposizione socialdemocratica.
Dobbiamo però costatare che c’è una inadeguatezza dei poteri pubblici di fronte all’arroganza dei banchieri che è veramente scandalosa. Preferiscono sempre in tutta Europa scaricare la crisi sui più deboli. Quello che è successo alla Grecia e ai suoi cittadini è vergognoso
L’Europa che vogliamo:
Servono nuove elezioni, per una nuova Costituzione europea, che veda il trionfo dell’Europa politica dei cittadini e dei lavoratori, con maggiori poteri al Parlamento di Strasburgo, per ridiscutere a fondo i trattati di Mastricht e di Lisbona.
Se la nostra Costituzione ha costituito un argine efficace, consentendo alle classi lavoratrici di difendersi dagli attacchi padronali, è necessario che in Europa ci siano analoghi argini contro le piene delle crisi finanziarie e le soluzioni arbitrarie, parziali e costrittive, apportate dalla Destra al potere a Bruxelles: cioè una programmazione che consenta di trovare lavoro dovunque, nella difesa dei diritti.
L’euro è nato male. Bisogna riportarlo in vita nel modo corretto.
Oggi in Europa accanto al tema della democrazia rappresentativa, presente a Strasburgo, con un Parlamento a poteri legislativi ancora troppo limitati, in rapporto a quelli esecutivi della Commissione, dobbiamo batterci con forza anche per la democrazia diretta, partecipata, attraverso nuovi strumenti, con cui far sentire la nostra voce: (referendum, leggi di ispirazione popolare).
Per realizzare sempre di più una democrazia dal basso, affinché i grandi poteri politici ed economico-bancari che hanno imposto le loro scelte-capestro, smettano di scegliere al nostro posto.
Urge realizzare su tutto il Continente una maggiore giustizia sociale, politica, culturale e ambientale, che non dimentichi i valori fondamentali per i quali è nata l’Europa.
Non solo la moneta: lavoro, welfare state, cultura e istruzione, legalità, e soprattutto la pace!
Occorrono sindacati europei che abbiano, in piena autonomia, la forza necessaria per programmare, insieme agli industriali, modelli di sviluppo diversi, eco-sostenibili, con adeguati investimenti che consentano la riconversione produttiva.
(Perché Finmeccanica deve continuare a produrre armi, dismettendo il settore treni, di cui c’è tanto bisogno?)
Non si può morire di liberismo selvaggio, di speculazioni bancarie, di Mastricht, di guerre “ umanitarie”, pagate sempre dai più deboli per gli interessi economici di minoranze, che, a nostre spese, si arricchiscono sempre di più.
L’Europa futura dovrà essere un modello per il mondo intero, per realizzare vere riforme, affinché l’economia diventi sempre più ecologica, per salvare tutto il pianeta dai disastri climatici e creare nuovi posti di lavoro. E’ importante anche per paesi come la Cina, in testa allo sviluppo economico mondiale.