Caro Paolo,
ti scrivo dopo aver letto sul Corriere della Sera del 7 febbraio la tua recensione all’ultimo libro di Mirella Serri, che uscirà per Longanesi il 16 febbraio, e che ho già ordinato per fare la mia analisi critica, come l’ho fatta, anni fa, per il suo libro “I redenti”, con un articolo sul Foglio.
Le fonti di questo suo ultimo lavoro sono i verbali registrati esistenti negli archivi della polizia dal ’45 all’ 80. con i rapporti sugli intellettuali di sinistra, socialisti e comunisti, che hanno conosciuto una accresciuta importanza nel quadro della guerra fredda, con particolare riguardo all’Associazione Italia-Urss.
Ufficialmente era considerata un’agenzia di pura propaganda sovietica, dove venivano presentati vari cortometraggi e documentari sulla vita e sulla storia dell’Urss. (Tutto materiale presentato nei circoli del cinema, oppure nelle abitazioni private di dirigenti comunisti, ad uso dei militanti).
Tu dici: “questi rapporti di polizia costituiscono “ il quadro di due ingenuità,quella degli osservati e quella degli osservatori”, di cui il libro di Serri offrirebbe “ un quadro gustoso”.
In attesa di verificarlo, dopo accurata lettura, per ora mi limiterò a dire che le fonti del libro sarebbero veramente troppo limitate, se l’autrice non si fosse spesa a incrociarle con altre, per fornire al lettore un’idea reale della situazione in Italia, al tempo della guerra fredda.
L’autrice cita, fra i tanti autorevoli nomi, anche quello di mio padre e il mio, come persone che, data l’epoca, hanno dato prova di coraggio nel manifestare opinioni critiche sull’Urss.
Mio padre nel 1960, in occasione di un dibattito televisivo sul Dottor Zivago, il grande scoop editoriale di Feltrinelli pubblicato in Italia nel 1959, si era spinto ad auspicarne un’edizione in Russia, certo che i lettori, abituati ai grandi classici dell’Ottocento sarebbero stati in grado di individuarne i limiti compositivi,sul piano dell’ intreccio romanzesco, il cui pregio maggiore era soprattutto dovuto agli effluvi lirici di un grande poeta.
Ma i rapporti di polizia non citano però ben altre posizioni critiche, già autonome di mio padre, come direttore di Società, fin dal 1953, quando Massimo Aloisi criticava le psudo teorie scientifiche di Lisenko, e altri si distaccavano dalle posizioni ufficiali del partito in materia di cinema e di letteratura. Soprattutto i rapporti tacciono sulle sue posizioni politiche del 1956, quando scrisse insieme a Lucio Colletti il famoso manifesto, firmato poi da 101 intellettuali, contro l’intervento sovietico in Ungheria, documento che, pubblicato su Le Monde, diede origine a centinaia di altri interventi critici, in Francia e in Europa. (questo 25 anni prima dello strappo di Berlinguer a favore della Nato).Se il Pci avesse potuto adottare fin da allora quella posizione, senza essere condizionato dai finanziamenti che provenivano da fondi sovietici o dal commercio con l’Est europeo, la storia del nostro paese sarebbe stata ben diversa, non guidata dai democristiani, che sempre furono “marioli e mariani”…
Stando al tuo articolo, nel libro di Serri sono citata anche io, a proposito di un intervento all’Associazione Italia Urss, la cui presidenza era stata affidata, nel 1960 a Paolo Alatri, con l’obiettivo di liberarla dalla linea puramente propagandistica di Ambrogio Donini e di Robotti.
ti scrivo dopo aver letto sul Corriere della Sera del 7 febbraio la tua recensione all’ultimo libro di Mirella Serri, che uscirà per Longanesi il 16 febbraio, e che ho già ordinato per fare la mia analisi critica, come l’ho fatta, anni fa, per il suo libro “I redenti”, con un articolo sul Foglio.
Le fonti di questo suo ultimo lavoro sono i verbali registrati esistenti negli archivi della polizia dal ’45 all’ 80. con i rapporti sugli intellettuali di sinistra, socialisti e comunisti, che hanno conosciuto una accresciuta importanza nel quadro della guerra fredda, con particolare riguardo all’Associazione Italia-Urss.
Ufficialmente era considerata un’agenzia di pura propaganda sovietica, dove venivano presentati vari cortometraggi e documentari sulla vita e sulla storia dell’Urss. (Tutto materiale presentato nei circoli del cinema, oppure nelle abitazioni private di dirigenti comunisti, ad uso dei militanti).
Tu dici: “questi rapporti di polizia costituiscono “ il quadro di due ingenuità,quella degli osservati e quella degli osservatori”, di cui il libro di Serri offrirebbe “ un quadro gustoso”.
In attesa di verificarlo, dopo accurata lettura, per ora mi limiterò a dire che le fonti del libro sarebbero veramente troppo limitate, se l’autrice non si fosse spesa a incrociarle con altre, per fornire al lettore un’idea reale della situazione in Italia, al tempo della guerra fredda.
L’autrice cita, fra i tanti autorevoli nomi, anche quello di mio padre e il mio, come persone che, data l’epoca, hanno dato prova di coraggio nel manifestare opinioni critiche sull’Urss.
Mio padre nel 1960, in occasione di un dibattito televisivo sul Dottor Zivago, il grande scoop editoriale di Feltrinelli pubblicato in Italia nel 1959, si era spinto ad auspicarne un’edizione in Russia, certo che i lettori, abituati ai grandi classici dell’Ottocento sarebbero stati in grado di individuarne i limiti compositivi,sul piano dell’ intreccio romanzesco, il cui pregio maggiore era soprattutto dovuto agli effluvi lirici di un grande poeta.
Ma i rapporti di polizia non citano però ben altre posizioni critiche, già autonome di mio padre, come direttore di Società, fin dal 1953, quando Massimo Aloisi criticava le psudo teorie scientifiche di Lisenko, e altri si distaccavano dalle posizioni ufficiali del partito in materia di cinema e di letteratura. Soprattutto i rapporti tacciono sulle sue posizioni politiche del 1956, quando scrisse insieme a Lucio Colletti il famoso manifesto, firmato poi da 101 intellettuali, contro l’intervento sovietico in Ungheria, documento che, pubblicato su Le Monde, diede origine a centinaia di altri interventi critici, in Francia e in Europa. (questo 25 anni prima dello strappo di Berlinguer a favore della Nato).Se il Pci avesse potuto adottare fin da allora quella posizione, senza essere condizionato dai finanziamenti che provenivano da fondi sovietici o dal commercio con l’Est europeo, la storia del nostro paese sarebbe stata ben diversa, non guidata dai democristiani, che sempre furono “marioli e mariani”…
Stando al tuo articolo, nel libro di Serri sono citata anche io, a proposito di un intervento all’Associazione Italia Urss, la cui presidenza era stata affidata, nel 1960 a Paolo Alatri, con l’obiettivo di liberarla dalla linea puramente propagandistica di Ambrogio Donini e di Robotti.
2) Vorrei darti allora alcune informazioni su di me e sul mio intervento in quell’occasione, a proposito del nuovo cinema sovietico, un cinema che rompeva sulla propaganda storica della seconda guerra mondiale, fino ad allora molto condizionata dal mito di Stalin."La città che porta il mio nome, non deve cadere!”-aveva detto. ( E Stalingrado non cadde)
Mi ero iscritta alla FGCI dopo il rapporto Krustciov al XX° Congresso (marzo 1956), in un attacco di delirante ottimismo: pensavo che se si cominciava a dire la verità su quanto era effettivamente accaduto nel paese dopo l’avvento al potere di Baffone, le cose erano francamente più interessanti rispetto alle precedenti giaculatorie.
Avevo firmato anche io il documento contro l’intervento sovietico in Ungheria, e, in compagnia dell’autorevole storico Alberto Caracciolo, lo avevo portato all’Unità, allora diretta da Pietro Ingrao, nella speranza del tutto illusoria che potesse essere pubblicato. Invece sia Togliatti che i Togliattiani della Commissione culturale, (Alicata and company) presero una posizione decisamente filo-sovietica, e iniziarono delle inchieste stile Inquisizione che si accanirono non solo su Antonio Giolitti, ma anche su mio padre, al quale i Palmiro Togliatti scrisse una lettera personale,ripubblicata poi in “Dialoghi con” (Il Girasole, 2002).
Nell’ottobre del 1956 io avevo stracciato la tessera della FGCI e rifiutato qualsiasi altra iscrizione.
Nel 1960 avevo ricevuto una borsa del Ministero degli Esteri (la prima in assoluto, nel quadro dei nuovi scambi culturali con l’Urss), per ultimare i miei studi della tesi di laurea: “Gli storici russi della rivoluzione francese”, grazie a 2 lettere di presentazione, di Federico Chabod e di Franco Venturi.
Per tutta l’estate del 1960 avevo lavorato nelle biblioteche di Mosca, Leningrado e Kiev , ed ero rimasta profondamente colpita dal fatto che lo storico Lukin, direttore della rivista “Istorik marxist”, era stato mandato in un campo di concentramento per aver pubblicato, nel 1924 un articolo sul Termidoro.
Un articolo che venne percepito non solo come storiografico, ma anche assolutamente eversivo sul piano politico, perché riprendeva un argomento agitato dai Mensceviki, contro Lenin e contro Trotzki, accusati di aver posto fine alla rivoluzione di 'Ottobre perché nel 1921 avevano fatto sparare sugli operai e sui marinai in rivolta a Kronstadt. Perché? Chiedevano libertà di sciopero, di associazione e di stampa, e questo,secondo loro, non era possibile! Erano quindi loro i nuovi termidoriani, che avevano anche neutralizzato il gruppo politico di “Opposizione operaia”, diretto da Sciachmatov e dalla femminista Alessandra Kollontaj, intervenuti appassionatamente in difesa del diritto di critica e di sciopero.
“Non ci incantate! Il Termidoro lo faremo noi!- aveva risposto Lenin.”
Più tardi, ma solo nel 1936, l’argomento doveva essere ripreso da Trotzki, proprio nella sua lotta contro Stalin, divenuto ormai il Termidoriano per eccellenza, per aver fatto fuori numerosi bolsceviki, che non la pensavano come lui in politica economica.. (I mensceviki e i socialisti-rivoluzionari, avevano lasciato il paese fin dal 1922)
Mi ero iscritta alla FGCI dopo il rapporto Krustciov al XX° Congresso (marzo 1956), in un attacco di delirante ottimismo: pensavo che se si cominciava a dire la verità su quanto era effettivamente accaduto nel paese dopo l’avvento al potere di Baffone, le cose erano francamente più interessanti rispetto alle precedenti giaculatorie.
Avevo firmato anche io il documento contro l’intervento sovietico in Ungheria, e, in compagnia dell’autorevole storico Alberto Caracciolo, lo avevo portato all’Unità, allora diretta da Pietro Ingrao, nella speranza del tutto illusoria che potesse essere pubblicato. Invece sia Togliatti che i Togliattiani della Commissione culturale, (Alicata and company) presero una posizione decisamente filo-sovietica, e iniziarono delle inchieste stile Inquisizione che si accanirono non solo su Antonio Giolitti, ma anche su mio padre, al quale i Palmiro Togliatti scrisse una lettera personale,ripubblicata poi in “Dialoghi con” (Il Girasole, 2002).
Nell’ottobre del 1956 io avevo stracciato la tessera della FGCI e rifiutato qualsiasi altra iscrizione.
Nel 1960 avevo ricevuto una borsa del Ministero degli Esteri (la prima in assoluto, nel quadro dei nuovi scambi culturali con l’Urss), per ultimare i miei studi della tesi di laurea: “Gli storici russi della rivoluzione francese”, grazie a 2 lettere di presentazione, di Federico Chabod e di Franco Venturi.
Per tutta l’estate del 1960 avevo lavorato nelle biblioteche di Mosca, Leningrado e Kiev , ed ero rimasta profondamente colpita dal fatto che lo storico Lukin, direttore della rivista “Istorik marxist”, era stato mandato in un campo di concentramento per aver pubblicato, nel 1924 un articolo sul Termidoro.
Un articolo che venne percepito non solo come storiografico, ma anche assolutamente eversivo sul piano politico, perché riprendeva un argomento agitato dai Mensceviki, contro Lenin e contro Trotzki, accusati di aver posto fine alla rivoluzione di 'Ottobre perché nel 1921 avevano fatto sparare sugli operai e sui marinai in rivolta a Kronstadt. Perché? Chiedevano libertà di sciopero, di associazione e di stampa, e questo,secondo loro, non era possibile! Erano quindi loro i nuovi termidoriani, che avevano anche neutralizzato il gruppo politico di “Opposizione operaia”, diretto da Sciachmatov e dalla femminista Alessandra Kollontaj, intervenuti appassionatamente in difesa del diritto di critica e di sciopero.
“Non ci incantate! Il Termidoro lo faremo noi!- aveva risposto Lenin.”
Più tardi, ma solo nel 1936, l’argomento doveva essere ripreso da Trotzki, proprio nella sua lotta contro Stalin, divenuto ormai il Termidoriano per eccellenza, per aver fatto fuori numerosi bolsceviki, che non la pensavano come lui in politica economica.. (I mensceviki e i socialisti-rivoluzionari, avevano lasciato il paese fin dal 1922)
Nel corso del mio soggiorno nell’Urss nell’estate del 1960 avevo avuto modo di incontrare studiosi specialisti di storiografia, come Weber, (anche lui inviato in campo di concentramento, con Tarle) .Mi era stato indicato dalla storica italiana Lina Misiano, figlia di Francesco, in esilio a Mosca dopo le azioni squadriste in Italia. Avevo avuto modo di incontrare anche giovani russi, laureati e addottorati in storia, come Tania Sciaumian e Vladick Sirotkin.
Con loro ero andata al cinema e commentato due interessantissimi films storici, che rompevano nettamente col mito di Stalin e col suo ruolo tradizionale nella propaganda patriottica della vittoria.
Uno dei films riguardava la vita dell’agente di spionaggio sovietico Sorge, il quale dal Giappone nel 1939, basandosi su fonti locali, aveva inoltrato un rapporto che certificava la volontà di Hitler di invadere l’Urss, malgrado il Patto di acciaio siglato da Ribbentropp e Molotov (un modo ingannevole dei tedeschi per prendere tempo).
Non solo non era stato creduto ma addirittura soppresso, un omicidio seguito alla morte del Maresciallo Tuchacevski, eliminato nel 1937, proprio perché contrario al Patto di acciaio.
Con loro ero andata al cinema e commentato due interessantissimi films storici, che rompevano nettamente col mito di Stalin e col suo ruolo tradizionale nella propaganda patriottica della vittoria.
Uno dei films riguardava la vita dell’agente di spionaggio sovietico Sorge, il quale dal Giappone nel 1939, basandosi su fonti locali, aveva inoltrato un rapporto che certificava la volontà di Hitler di invadere l’Urss, malgrado il Patto di acciaio siglato da Ribbentropp e Molotov (un modo ingannevole dei tedeschi per prendere tempo).
Non solo non era stato creduto ma addirittura soppresso, un omicidio seguito alla morte del Maresciallo Tuchacevski, eliminato nel 1937, proprio perché contrario al Patto di acciaio.
Errori che sono costati al paese 20 milioni di morti
(Ecco perché ad Emilio Lussu che cercava a Mosca un giocattolo per il figlio era stato risposto: No qui ai bambini non si danno né carri armati né fucili per giocare)
Si, i sovietici avevano della guerra un sacro terrore. Per questo la preferivano "fredda", con qualche colpo di stato bene aggiustato, come quello a Praga nel 1947, secondo gli accordi di Yalta...Ma poi organizzavano grandi manifestazioni per la pace in tutta Europaalle quali partecipò anche mio padre.
Il secondo film era quello del regista ebreo di Leningrado, Sctorm, “Obyknobjennyi fascism” (Il fascismo consueto), che descriveva in dettaglio le pratiche poliziesche e repressive naziste (spionaggio, delazioni, arresti e campi di concentramento)
Tanja Sciaumian era figlia di un dirigente armeno, perseguitato da Stalin, malgrado suo nonno fosse stato un eroe bolscevico, ucciso dall’Armata Bianca a Bakù.
Il secondo film era quello del regista ebreo di Leningrado, Sctorm, “Obyknobjennyi fascism” (Il fascismo consueto), che descriveva in dettaglio le pratiche poliziesche e repressive naziste (spionaggio, delazioni, arresti e campi di concentramento)
Tanja Sciaumian era figlia di un dirigente armeno, perseguitato da Stalin, malgrado suo nonno fosse stato un eroe bolscevico, ucciso dall’Armata Bianca a Bakù.
Con Tania avevamo registrato i commenti a bassa voce del pubblico: “A eto, kak u nas!” (Come è successo da noi!).Al termine della proiezione si era levato un applauso di 15 minuti da parte della sala, e Tanja aveva le lacrime agli occhi.
Ezio Ferrero, suo grande amico, era uno studente italiano figlio di un operaio, mandato a studiare a Mosca con una borsa di studio del PCI,iscritto alla facoltà di storia, e, anche lui, dopo un soggiorno di 5 anni, era molto critico sul paese.
Mi aveva detto: “ Qui, la statalizzazione delle industrie è servita per fare più rapidamente la rivoluzione industriale in un paese contadino e arretrato. Hanno sfruttato i vari Stachanov, a profitto delle burocrazie di stato e di partito. Ma si sono riformate le classi!”
Un’analisi condivisa più tardi dal miltante trozkista polacco Karrol, (marito di Rossana Rossanda), che in un articolo pubblicato sul Nouvel Observateur aveva individuato nel sistema della doppia valuta (in dollari e in rubli), la nuova scansione dei privilegi. Si consentiva ai pochi possessori di dollari di accedere alle merci migliori nei magazzini per stranieri, a un terzo del prezzo, nonché al bene primario dell’informazione straniera,(giornali e riviste), mentre alla maggioranza pagata in rubli venivano proposte lunghe code nei magazzini di stato Gum, e al termine della coda venivano beffati come consumatori: non c’era più nulla, o la merce rimasta era nettamente scadente. Inoltre avevano diritto all’informazione solo sulla Pravda, ( biez izvestij, senza notizie) o sulla Izvestia (bies pravdy,senza verità!)
***
Per tornare al dibattito che nel 1960 si svolgeva nella sala di Italia-Urss , diretto dal neo Presidente, lo storico Paolo Alatri, il mio intervento a favore di Sctorm suscitava preoccupazioni.
La tesi storica del film, che aveva equiparato il nazismo allo stalinismo era inaccettabile, per chi, come lo storico Paolo Alatri, credeva ai progressi sociali realizzati nell’Urss.
Era una delle ragioni per le quali del resto il film era stato molto discusso nel paese, poiché gli uomini del XX° Congresso erano ancora in minoranza. Troppo numerosi nella società civile erano i complici delle pratiche staliniane, che avevano approfittato delle disgrazie altrui per avere una casa, un lavoro, nel proprio personale interesse, (come risultò nel corso dei vari processi in corso, e come si dovette ammettere nel XXII° congresso del Pcus.)
Paolo Alatri, consapevole della propria responsabilità come neo-presidente dell’Associazione, aveva cercato quindi di zittirmi, senza successo.(ma io non ero più comunista da tempo, e il mio soggiorno nell’Urss non aveva fatto che confermare le validissime ragioni di una transfuga. Del resto anche nel libro della Serri viene registrata la coraggiosa opinione di un dirigente del Pci, Aldo Tortorella, espressa nel collettivo di Varese nel ’68 : “L’Urss non ha onorato le risoluzioni prese nel XX° congresso del PCUS, e cioè la destalinizzazione, la convivenza pacifica, e il profondo rinnovamento dei partiti comunisti”.
Ho raccontato tutti i dettagli del mio primo soggiorno in Urss nel IV° capitolo del mio libro “Memorie di di un’eretica”, “Presente e passato: inchiesta sul campo” che spero di pubblicare on line, come E-book). Questo spiega perché il poliziotto incaricato della sorveglianza in sala aveva registrato nel suo rapporto il mio vivace dissenso critico.
Mio padre, sebbene uscito dal Pci fin dal 1957, aveva continuato a far parte dell’Associazione Italia- Urss, chiedendo, insieme a Franco Fortini, una vera libera informazione e non solo materiale di propaganda. Del ruolo degli intellettuali critici all’interno dell’Associazione si è occupata di recente una giovane studiosa napoletana, Alessandra Reccia, laureata a Siena, i cui lavori potrebbero essere molto utili alla signora Serri.
Ezio Ferrero, suo grande amico, era uno studente italiano figlio di un operaio, mandato a studiare a Mosca con una borsa di studio del PCI,iscritto alla facoltà di storia, e, anche lui, dopo un soggiorno di 5 anni, era molto critico sul paese.
Mi aveva detto: “ Qui, la statalizzazione delle industrie è servita per fare più rapidamente la rivoluzione industriale in un paese contadino e arretrato. Hanno sfruttato i vari Stachanov, a profitto delle burocrazie di stato e di partito. Ma si sono riformate le classi!”
Un’analisi condivisa più tardi dal miltante trozkista polacco Karrol, (marito di Rossana Rossanda), che in un articolo pubblicato sul Nouvel Observateur aveva individuato nel sistema della doppia valuta (in dollari e in rubli), la nuova scansione dei privilegi. Si consentiva ai pochi possessori di dollari di accedere alle merci migliori nei magazzini per stranieri, a un terzo del prezzo, nonché al bene primario dell’informazione straniera,(giornali e riviste), mentre alla maggioranza pagata in rubli venivano proposte lunghe code nei magazzini di stato Gum, e al termine della coda venivano beffati come consumatori: non c’era più nulla, o la merce rimasta era nettamente scadente. Inoltre avevano diritto all’informazione solo sulla Pravda, ( biez izvestij, senza notizie) o sulla Izvestia (bies pravdy,senza verità!)
Per tornare al dibattito che nel 1960 si svolgeva nella sala di Italia-Urss , diretto dal neo Presidente, lo storico Paolo Alatri, il mio intervento a favore di Sctorm suscitava preoccupazioni.
La tesi storica del film, che aveva equiparato il nazismo allo stalinismo era inaccettabile, per chi, come lo storico Paolo Alatri, credeva ai progressi sociali realizzati nell’Urss.
Era una delle ragioni per le quali del resto il film era stato molto discusso nel paese, poiché gli uomini del XX° Congresso erano ancora in minoranza. Troppo numerosi nella società civile erano i complici delle pratiche staliniane, che avevano approfittato delle disgrazie altrui per avere una casa, un lavoro, nel proprio personale interesse, (come risultò nel corso dei vari processi in corso, e come si dovette ammettere nel XXII° congresso del Pcus.)
Paolo Alatri, consapevole della propria responsabilità come neo-presidente dell’Associazione, aveva cercato quindi di zittirmi, senza successo.(ma io non ero più comunista da tempo, e il mio soggiorno nell’Urss non aveva fatto che confermare le validissime ragioni di una transfuga. Del resto anche nel libro della Serri viene registrata la coraggiosa opinione di un dirigente del Pci, Aldo Tortorella, espressa nel collettivo di Varese nel ’68 : “L’Urss non ha onorato le risoluzioni prese nel XX° congresso del PCUS, e cioè la destalinizzazione, la convivenza pacifica, e il profondo rinnovamento dei partiti comunisti”.
Ho raccontato tutti i dettagli del mio primo soggiorno in Urss nel IV° capitolo del mio libro “Memorie di di un’eretica”, “Presente e passato: inchiesta sul campo” che spero di pubblicare on line, come E-book). Questo spiega perché il poliziotto incaricato della sorveglianza in sala aveva registrato nel suo rapporto il mio vivace dissenso critico.
Mio padre, sebbene uscito dal Pci fin dal 1957, aveva continuato a far parte dell’Associazione Italia- Urss, chiedendo, insieme a Franco Fortini, una vera libera informazione e non solo materiale di propaganda. Del ruolo degli intellettuali critici all’interno dell’Associazione si è occupata di recente una giovane studiosa napoletana, Alessandra Reccia, laureata a Siena, i cui lavori potrebbero essere molto utili alla signora Serri.
Conclusione:
Come tu sai, io ho scritto un articolo molto critico su uno dei suoi libri, “I redenti”, che si occupava degli intellettuali italiani al tempo del fascismo, passati dal sostegno a Mussolini al Pci, nel quale citava, fra gli altri, anche mio padre, parlando della sua collaborazione a Primato, la rivista diretta da Bottai, il quale aveva sostenuto le leggi del 1938 e la difesa della razza.
Sulla stessa rivista, in un famoso articolo sul libro di Torquato Accetto “La dissimulazione onesta” ( un manuale di sopravvivenza scritto al tempo dell’Inquisizione), mio padre rivedeva lucidamente la propria condizione di antifascista, che collaborava insieme ad altri a una rivista di fronda, come Primato.
Ma la signora Serri non aveva consultato né il casellario giudiziario in cui mio padre era stato indiziato di antifascismo fin dal 1931, quando all’Università di Napoli aveva difeso Benedetto Croce dagli oltraggi degli studenti fascisti, e costretto a lasciare l’università per iscriversi a Firenze.
Nel 1933 a casa del suo prof.Luigi Russo aveva conosciuto Leone Ginzburg, militante di Giustizia e Libertà, che aveva successivamente incontrato a Torino, in casa di Barbara Allason, e nel 1935 aveva portato al gobettiano Tommaso Fiore, professore di latino in un liceo pugliese, un numero del giornale “Giustizia e libertà”.
Sulla stessa rivista, in un famoso articolo sul libro di Torquato Accetto “La dissimulazione onesta” ( un manuale di sopravvivenza scritto al tempo dell’Inquisizione), mio padre rivedeva lucidamente la propria condizione di antifascista, che collaborava insieme ad altri a una rivista di fronda, come Primato.
Ma la signora Serri non aveva consultato né il casellario giudiziario in cui mio padre era stato indiziato di antifascismo fin dal 1931, quando all’Università di Napoli aveva difeso Benedetto Croce dagli oltraggi degli studenti fascisti, e costretto a lasciare l’università per iscriversi a Firenze.
Nel 1933 a casa del suo prof.Luigi Russo aveva conosciuto Leone Ginzburg, militante di Giustizia e Libertà, che aveva successivamente incontrato a Torino, in casa di Barbara Allason, e nel 1935 aveva portato al gobettiano Tommaso Fiore, professore di latino in un liceo pugliese, un numero del giornale “Giustizia e libertà”.
Divenuto professore di liceo a Bisceglie grazie a Fiore, aveva però perduto il posto a seguito di un intervento contro la guerra imperialista Etiopica, avendo letto agli scolari un articolo dell’Enciclopedia Treccani in cui si diceva che li non c’era una goccia di petrolio: impresa inutile, anche come sfida al Regno Unito, che come serio paese imperialista sapeva invece dove andare… (erano solidamente installati in Iraq, fin dal 1920,-aggiungo io.)
Denunciato da uno studente al federale locale (un certo Bellifemmine), aveva dovuto bere l’olio di ricino, per purgarsi dell’antifascismo e aveva perduto il posto, mentre mia madre era già in attesa di me. Quando, dopo aver vinto un concorso, fu costretto a prendere la tessera del PNF per poter lavorare in un liceo pubblico a Pescara, era ancora sorvegliato dalla polizia e la sua corrispondenza privata veniva intercettata. Era difficile vivere in provincia, dove non c’erano nemmeno adeguate biblioteche per studiare. Decise quindi, come tanti altri intellettuali, (tra cui l’israelita Giorgio Bassani) di tentare i Littoriali della cultura, nel 1939, a Trieste: lì aveva conosciuto Jaime Pintor, e malgrado le leggi razziali, si erano recati insieme alla libreria antiquaria di Umberto Saba, a rendere omaggio al grande poeta ebreo, negli anni Venti collaboratore del “Baretti, un’altra famosa rivista culturale antifascista, diretta da Piero Gobetti.
Grazie al risultato del concorso erano stati poi invitati a collaborare a Primato, ma non per questo avevano rinunciato alle loro idee. (Si fa presente che Jaime Pintor, specialista di letteratura tedesca, scriveva su Primato, in tempi di guerra, articoli contro la guerra (pubblicati poi da Einaudi nel “Sangue d’Europa”) ed era entrato nella staff della giovanissima casa editrice Einaudi, insieme a mio padre e a Leone Ginzburg. E, proprio in quanto collaboratore di Primato, faceva ottenere il visto della censura a tutte le pubblicazioni della casa editrice: un altro esempio di “dissimulazione onesta”, come il suo breve viaggio in Germania.
Denunciato da uno studente al federale locale (un certo Bellifemmine), aveva dovuto bere l’olio di ricino, per purgarsi dell’antifascismo e aveva perduto il posto, mentre mia madre era già in attesa di me. Quando, dopo aver vinto un concorso, fu costretto a prendere la tessera del PNF per poter lavorare in un liceo pubblico a Pescara, era ancora sorvegliato dalla polizia e la sua corrispondenza privata veniva intercettata. Era difficile vivere in provincia, dove non c’erano nemmeno adeguate biblioteche per studiare. Decise quindi, come tanti altri intellettuali, (tra cui l’israelita Giorgio Bassani) di tentare i Littoriali della cultura, nel 1939, a Trieste: lì aveva conosciuto Jaime Pintor, e malgrado le leggi razziali, si erano recati insieme alla libreria antiquaria di Umberto Saba, a rendere omaggio al grande poeta ebreo, negli anni Venti collaboratore del “Baretti, un’altra famosa rivista culturale antifascista, diretta da Piero Gobetti.
Grazie al risultato del concorso erano stati poi invitati a collaborare a Primato, ma non per questo avevano rinunciato alle loro idee. (Si fa presente che Jaime Pintor, specialista di letteratura tedesca, scriveva su Primato, in tempi di guerra, articoli contro la guerra (pubblicati poi da Einaudi nel “Sangue d’Europa”) ed era entrato nella staff della giovanissima casa editrice Einaudi, insieme a mio padre e a Leone Ginzburg. E, proprio in quanto collaboratore di Primato, faceva ottenere il visto della censura a tutte le pubblicazioni della casa editrice: un altro esempio di “dissimulazione onesta”, come il suo breve viaggio in Germania.
Nel ’43, dopo l’8 settembre Muscetta e Ginzburg lavoravano all’Italia Libera, ma furono arrestati il 22 novembre con tutta la staff del giornale nella tipografia di Via Basento, vennero portati al Terzo Braccio, controllato dai tedeschi, e poi a Via Tasso dove furono interrogati con metodi musclés. Leone, tornato in cella, tutto sanguinante aveva incontrato Pertini, al quale aveva detto:- Non dobbiamo odiare i tedeschi!-
Doveva morire di infarto per le percosse ricevute, il 5 febbraio, mentre mio padre, trasferito nel campo militare della Cecchignola per scavare le trincee ad Anzio e Nettuno, veniva liberato insieme a Siglienti, da mia madre e da Ines Siglienti Berlinguer, sfuggendo di un giorno al massacro delle Fosse Ardeatine.
Tutti elementi di cui la signora Serri non aveva tenuto conto nel suo libro, malgrado alcuni fossero narrati nella biografia di mio padre “L’Erranza” ( Ed. Il Girasole, 1992), ora ripubblicata da Sellerio (2009). Nel mio articolo pubblicato sul Foglio, di G. Ferrara, mi rammaricavo che la sua indagine fosse solidamente ancorata a una tesi pregiudiziale, e non basata sul riscontro di altri fatti oggettivi.
Ed è per questo che tornerò sul nuovo lavoro di M. Serri, per vedere se il “quadro gustoso” di cui tu parli sia ancora ingessato e ristretto in una fonte esclusiva, non documentato da un incrocio di accertamenti volti a cercare la verità, al di fuori di quella che si ha già nella propria testa
Tutti elementi di cui la signora Serri non aveva tenuto conto nel suo libro, malgrado alcuni fossero narrati nella biografia di mio padre “L’Erranza” ( Ed. Il Girasole, 1992), ora ripubblicata da Sellerio (2009). Nel mio articolo pubblicato sul Foglio, di G. Ferrara, mi rammaricavo che la sua indagine fosse solidamente ancorata a una tesi pregiudiziale, e non basata sul riscontro di altri fatti oggettivi.
Ed è per questo che tornerò sul nuovo lavoro di M. Serri, per vedere se il “quadro gustoso” di cui tu parli sia ancora ingessato e ristretto in una fonte esclusiva, non documentato da un incrocio di accertamenti volti a cercare la verità, al di fuori di quella che si ha già nella propria testa
***
Caro Paolo, da ragazzi per preparare la nostra licenza liceale, ci siamo entrambi giovati del prezioso insegnamento di Enzo Monferrini, ebreo piemontese antifascista, cacciato da Mussolini dalle scuola dove insegnava nel ’38, e costretto a lavorare in quella ebraica.
Caro Paolo, da ragazzi per preparare la nostra licenza liceale, ci siamo entrambi giovati del prezioso insegnamento di Enzo Monferrini, ebreo piemontese antifascista, cacciato da Mussolini dalle scuola dove insegnava nel ’38, e costretto a lavorare in quella ebraica.
Nel 1954 in poche lezioni private, ci aveva fornito un quadro essenziale del pensiero socialista e marxista dell’Ottocento, utile ancora a capire il mondo di oggi. Malgrado le rivoluzioni in Russia, in Cina, come pure in Medio Oriente, in Egitto, in Siria, in Israele, in Africa e in Europa, la giustizia e la libertà dal bisogno, sono ancora in lista di attesa. Come il Messia per gli ebrei. E questo è vero per il 99% degli abitanti del pianeta. soprattutto oggi, in tempi di crisi finanziaria economica e sociale
Con i più cordiali saluti
Mara Muscetta
Mara Muscetta
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