Anche i re talvolta possono sbagliare, e di grosso!
Un servitore dello Stato, consigliere di Re Giorgio, Loris D’Ambrosio, è scomparso, stroncato dal dolore, forse a causa di un suo grave sbaglio: non aver detto con franchezza a Nicola Mancino che il Quirinale non poteva interferire con le indagini della Procura di Palermo, perché non era scritto in nessun articolo della Costituzione. o del codice penale.
Aveva cercato di calmare le sue ansie dicendogli: “Stai tranquillo!... tanto questi non arriveranno a nulla”. Posizione davvero singolare la sua, che pure, come ha detto Maria Falcone, aveva collaborato con suo fratello nel redigere tutti i più importanti testi giuridici anti-mafia, compreso quello sul 41 bis. Le critiche di cui era stato oggetto sulla stampa lo avevano indotto a dare le dimissioni, che però il Presidente aveva rifiutato.
Sono state le eccessive e ripetute insistenze di Mancino alla radice di questa tragedia, (di cui non hanno certo colpa i giornalisti del Fatto Quotidiano, che hanno pubblicato il testo delle intercettazioni, ormai pubbliche, facendo domande scomode, adempiendo quindi al loro dovere professionale).
Le preoccupazioni dell’ex senatore sono cresciute a dismisura nel marzo-aprile 1912, quando il suo nome era apparso di frequente nelle pagine dell’atto di accusa della Procura di Caltanissetta, che aveva aperto dal 2002 un indagine “Borsellino quater”. per la strage di Via D’Amelio, le cui indagini erano state più volte vanificate da confessioni divergenti dei boss finto-pentiti.
Le due procure siciliane erano ben coordinate fra loro, fin dal marzo 2011, una decisione presa dal CSM presieduto da Napolitano, perché quell’evento era strettamente collegato alla trattativa mafia-Stato, che Paolo Borsellino aveva rifiutato.. E questo fu il motivo del suo assassinio. Uomini delle istituzioni lo avevano tradito, e non si sa ancora chi sono.
Mancino temeva anche di essere messo a confronto con Martelli, che aveva su tutta la vicenda pareri nettamente discordanti rispetto ai suoi.
Quindi Re Giorgio, nella sua veste di Capo del CSM, non aveva alcun bisogno di chiedere ulteriormente il coordinamento delle indagini in Sicilia, come del resto aveva detto anche il Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso.
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Di trattative Stato-mafia non ce n’è una sola: la prima riguardava la mitigazione delle condizioni penitenziarie dei detenuti sottoposti all’articolo 41 bis, col carcere duro per i mafiosi non pentiti, nelle isole di Pianosa e dell’Asinara.
(un decreto voluto fortemente da Falcone e da Martelli, quando era ministro della Giustizia nel governo Andreotti,) In cambio la Mafia, dopo aver assassinato Salvo Lima, nel marzo del 1992, avrebbe rinunciato ad altri delitti politici (erano nel mirino Calogero Mannino, oggi ancora in Parlamento, e , naturalmente, lo stesso Claudio Martelli)
La ricostruzione di questa prima trattativa è oggi molto più chiara, secondo la pista individuata dal Procuratore nazionale antimafia fiorentino,Gabriele Chelazzi, prima di morire:: quella dei Cappelani delle Carceri che, nel ’93, in perfetta buona fede, avevano ritenuto che nelle condizioni prescritte dal ’41 bis mai i detenuti avrebbero potuto ravvedersi in futuro per una riabilitazione nella vita civile, (come del resto prevede l’articolo 27 della Costituzione), visto che “i secondini squadristi li picchiavano regolarmente”.
Questo era scritto in alcune lettere dei familiari dei detenuti, molto dure, indirizzate al Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro e ad alcuni alti prelati.
I Cappellani, tra l’attentato a Costanzo e quello in Via dei Georgofili, avevano redatto a Roma, fra il 17 e il 20 maggio 1993 un documento per la soppressione del 41 bis, che consegnarono a Chelazzi.
Il risultato fu la caduta del Governo Andreotti e nel nuovo governo di Giuliano Amato, Martelli venne sostituito dal ministro Conso alla Giustizia, mentre al Ministero degli Interni, guidato da Scotti, (ora nominato Ministro degli Esteri,) veniva scelto Nicola Mancino.
Con 3 conseguenze:
a) Conso soppresse per i mafiosi l’art. 41 bis, con una serie di decreti: ha dichiarato ai giornali e alla Procura di Palermo di aver agito in solitudine, per evitare altri delitti e altre stragi
b) Venne sostituito Nicolò Amato direttore dell’Amministrazione penitenziaria, che i mafiosi non volevano più nelle carceri. Troppo duro.
c) vennero chiuse le carceri di Pianosa e dell’Asinara, “troppo fredde d’inverno”
Dopo l’assassinio di Salvo Lima, (marzo 1992),la mafia scelse un altro referente politico, il siciliano Dell’Utri, direttore di Publitalia, la società per la pubblicità a Fininvest. Seguendo il suo consiglio, Berlusconi, minacciato dalla mafia negli averi e negli affetti (aveva mandato i figli in America per evitare sequestri), prese ad Arcore, come protettore, un noto mafioso trafficante di droga, ultra indagato, Mangano: secondo Dell’Utri un vero eroe,!...
Quindi nel ’93, sulle rovine politiche provocate dai processi di Mani Pulite, nacque Forza Italia, e nel ’94 Berlusconi salì al potere...
2) Analizziamo ora la posizione di un altro integerrimo servitore dello Stato, Antonio Ingroia, vice- procuratore capo a Palermo, collaboratore di Falcone e Borsellino, che da 20 anni conduce le sue indagini sulla trattativa mafia-politica. Più volte minacciato di morte, viene regolarmente coperto da una grandinata di insulti da parte della stampa padronale berlusconiana, alla quale si sono uniti oggi anche Galli della Loggia, sul Corriere della Sera e perfino, con nostro grande sconcerto, Eugenio Scalfari, allineato sulle posizioni di Giuliano Ferrara.
Premettiamo una breve analisi della situazione attuale in Sicilia, tutt’altro che tranquilla, sia per la Procura che per i siciliani onesti.
a) Sul piano economico la Regione è sull’orlo del default, come la Grecia. Lo ha segnalato Lo Bello, capo della Confindustria siciliana. Sono stati sperperati soldi pubblici, e creati posti di lavoro assistenziali nell’Amministrazione regionale, in assenza di fabbriche manifatturiere in chiusura (cfr Fiat a Termini Imerese) . I forestali in Sicilia sono il triplo rispetto a quelli del Piemonte. Donne e giovani sono invece senza lavoro.
b) Il Presidente della Regione Lombardo rinviato a giudizio per associazione mafiosa, darà le dimissioni il 31 luglio e sarà processato a Catania in ottobre.
Il governo dovrà intervenire con robusti tagli di spending review, sulle finanze allegre da lui adottate a fini clientelari.
c) L’Assemblea Regionale ha respinto la proposta di non nominare più come consulenti in Regione managers indagati per collusioni mafiose, avanzata dal presidente dell’Antimafia in Regione, Speziali.
La mafia resta quindi nel Palazzo, a spese dei cittadini. Matteo Messina Denaro, ultimo grande boss ancora latitante, esercita tutto il suo business power sul territorio trapanese, ben protetto dalla zona grigia della borghesia mafiosa, come lo era stato Provenzano.
Con la mafia in Sicilia c’è connivenza e convivenza: da sempre…
Una situazione quindi non certo favorevole alla Procura di Palermo, dove Ingroia si proponeva due obiettivi:
a) combattere l’omertà dei grandi Big Boss mafiosi in galera sulla strategia stragista degli anni Novanta
b) Combattere la reticenza di uomini delle istituzioni che sulla trattativa non hanno ancora raccontato tutto quello che sanno.
Ingroia auspica un valido aiuto da parte del Parlamento: con 2 essenziali riforme:
a) Sui collaboratori di giustizia
b) Quella del 416 ter per rendere punibile il patto pre-elettorale mafia-politica.
Le riterrebbe utili per i cittadini elettori, sia alla vigilia delle elezioni in Sicilia, il prossimo ottobre, sia in quelle nazionali politiche del 2013-
Invece che cosa è accaduto? Per avere intercettato un testimone reticente come Mancino, sospettato di falsa testimonianza, sorpreso a colloquio col povero D’Ambrosio e poi addirittura col Presidente della Repubblica, Ingroia, dopo 20 anni di splendido lavoro, è oggi vittima di una vera delegittimazione da parte del Quirinale, che ha contestato le sue procedure di indagine, “ritenendole lesive delle sue prerogative”, chiedendogli addirittura di distruggere i nastri registrati delle sue telefonate, (addirittura contravvenendo all’art. 268 del Codice di procedura penale, il quale stabilisce che sia un giudice terzo a decidere se e quando distruggerle).
Non solo, ma ha anche aperto un conflitto di attribuzione, ricorrendo alla Corte Costituzionale, per stabilire chi ha ragione, il Colle o la Procura.
.Il Ministro Severino chiede invece di mantenere la segretezza delle registrazioni, in attesa del parere della Consulta, ma non certo di distruggerle, mentre la Destra del PDL ritorna sulla legge delle intercettazioni.
Insomma proprio ora che Ingroia aveva concluso il suo lavoro, riuscendo per la prima volta a mettere sul banco degli imputati la mafia militare in galera, gli alti ufficiali dei carabinieri, e i politici, protagonisti della trattativa, tutta l’Italia giornalistica e politica si erge contro, come un muro di corazzieri, riprendendo la delegittimazione dei magistrati che fu ed è ancora prerogativa di Berlusconi.
La cosa anomala è che al vertice del CSM e del Colle ci sia la stessa persona, la quale, intercettata nel 2009 quando era in conversazione con Bertolaso, non aveva ritenuto a quell’epoca di chiedere al Parlamento un provvedimento legislativo per integrare il codice penale, visto che attualmente nessuna norma vieta ai magistrati di intercettare un indagato a colloquio con il Presidente della Repubblica..
Conclusione:
A criticare le iniziative e le parole del Presidente sono stati vari autorevoli giuristi: Franco Cordero, (che lo accusa di essere addirittura tornato allo Statuto di Carlo Alberto, ancien régime), Stefano Rodotà, e addirittura Sartori, che gli rimprovera “un eccesso di amicizia per Mancino”.
Noi cittadini siamo sconcertati per il colossale abbaglio dei due Re della Repubblica, da noi molto stimati e rispettati. Eugenio Scalfari ci ha veramente sorpresi, lui, giornalista in lotta dura con la Razza Padrona e con i politici corrotti
(tipo Bettino Craxi) : da sempre è stato un vero cane da guardia contro il potere, per informare noi cittadini su tutti gli abusi.
Non possiamo quindi non essere dalla parte di Antonio Ingroia, che è riuscito a far condannare Bruno Contrada, dei Servizi segreti, alla guida militare del massacro di Capaci, un super magistrato oggi costretto “a fare un passo di lato”, accettando l’invito dell’Onu, per utilizzare le sue competenze nella lotta al narcotraffico in America centrale.
Ricordo di averlo incontrato a Torino, nel 2002, al Salone del Libro, dove presentava, insieme a Caselli e a Marco Travaglio “La trattativa”,(Roma,Editori Riuniti), una ricerca di Maurizio Torrealta, campione del giornalismo d’inchiesta di Rai 3, che aveva documentato gli eventi tra il 1992 e il 2002, riportando tutte le testimonianze nei processi dei boss pentiti, dei falso-pentiti, in ordine cronologico, fino alla messa in atto del Borsellino quater alla Procura di Caltanissetta.
Intervistato da Torrealta all’inizio del volume, Ingroia aveva detto una cosa storicamente molto importante: se alla fine della guerra la mafia aveva operato in funzione anti comunista, intervenendo con la polizia di stato a Portella della Ginestra, contro i contadini che occupavano le terre incolte, dopo la caduta del Muro di Berlino nell’89 aveva perso la sua funzione di braccio armato della DC, che venne punita alle elezioni del 1991,per non essere riuscita a bloccare il maxi- processo dell’87.
E, avendo la Cassazione confermato tutte quelle sentenze, nel ’92, venne ucciso Salvo Lima, loro intermediario con la corrente andreottiana.
Da li cominciò il dialogo con lo Stato, a suon di bombe, prima di tutto con la strage di Capaci, (non senza aver prima ampiamente delegittimato Falcone,) e poi con quella di Borsellino..
Nella “Trattativa” di Torrealta si parla delle dichiarazioni del boss pentito, Mutolo, il quale aveva segnalato al magistrato le collusioni mafiose di Bruno Contrada, agente dei servizi segreti e del giudice Signorino.
Il colloquio venne interrotto al momento del cambiamento del Ministro degli Interni, perché Borsellino partì per incontrarlo al Viminale a Roma.
Al suo ritorno aveva chiesto a Mutolo di mettere a verbale le sue dichiarazioni, cosa che rifiutò di fare, per paura di essere ucciso. Secondo la sua testimonianza, Borsellino era molto nervoso. Al Viminale non era riuscito a parlare col nuovo Ministro Mancino, ma aveva incontrato il capo della polizia Parisi e Bruno Contrada, ambedue già al corrente del fatto che Mutolo stava rilasciando dichiarazioni importanti: cosa che non avrebbero dovuto sapere.
A Mutolo non accadde nulla, ma il 19 luglio, 2 giorni dopo il suo rientro a Palermo, fu Borsellino a saltare in aria in Via D’Amelio: avevano intercettato una sua telefonata alla madre, manipolando le linee telefoniche dell’edificio in cui viveva.
Non possiamo oggi non essere dalla parte della splendida famiglia del magistrato, di sua moglie Agnese, che aveva ascoltato tutti i sospetti del marito,
di suo fratello Salvatore, che si batte per sapere chi ha rubato la sua famosa agenda rossa, sottratta dalla macchina il 19 luglio del ’92.
Quindi approviamo la sua richiesta alla Procura di Caltanissetta di acquisire i nastri registrati delle telefonate tra Napolitano e Mancino, prima che vengano segretate, come ha chiesto ilMinistro Severino.
Siamo dalla parte di Rita, europarlamentare, splendida persona, che ha dichiarato di sentirsi schiaffeggiata da questa grave iniziativa del Presidente, completamente inattesa, nei confronti di una procura anti mafia, impegnata da 20 anni nella ricerca della verità.
Ora che il magistrato D’Ambrosio è deceduto, stroncato dalle vicende dei giorni scorsi, credo che Mancino debba assumersi le proprie responsabilità e chiedere scusa per aver messo due persone perbene in gravi difficoltà, con le sue ripetute richieste di intervento. Si faccia processare tranquillamente: esiste sempre la presunzione di innocenza, fino a quando non sarà assolto o condannato.
E pensiamo che Re Giorgio dovrebbe accettare l’invito di Salvatore Borsellino a rendere pubblico il contenuto delle telefonate registrate, per meglio puntellare la funzione essenziale del Colle: “quella di essere il centro di equilibrio del sistema”. La trasparenza è il miglior modo di garantire un’istituzione.
Il Processo Dell’Utri ripartirà dalla Corte di Appello, perché i suoi reati sono provati fino al ’77.
I familiari delle vittime delle stragi reclamano giustizia e verità. E anche noi cittadini vogliamo sapere che cosa sia realmente accaduto. Troppi sono stati i morti nella nostra storia.
Perciò diciamo: caro Ingroia, buon lavoro in Guatemala, ma torni presto perché abbiamo tanto bisogno di gente come Lei.
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